Corriere dello Sport

Un ragazzo, Joaquin e la maglia come trofeo

- Di Franco Ordine

Dal vivo, l’avevo visto, per la prima volta, nel gennaio del ’65, allo Zaccheria, durante lo storico 3 a 2 realizzato dal Foggia mitico di Oronzo Pugliese e i suoi prodi sull’Inter euro-mondiale di HH. Che domenica quella domenica, per i ragazzi della mia generazion­e: l’avremmo rievocata per anni e raccontata come una fiaba a chi non ebbe la nostra stessa sorte. Ero troppo “gasato” dalle prodezze balistiche di Nocera per accorgermi di Peirò che pure, quel pomeriggio di 55 anni fa, aveva messo lo zampino sulla rimonta interista completata da Suarez e mandata in frantumi dalla rasoiata finale di Vittorio Cosimo, il re del gol della mia infanzia calcistica felicissim­a. Solo qualche mese dopo provai, in tv, il famoso colpo di fulmine. Di solito, nel calcio come negli altri sport, succede così: assisti a una genialata, a un tocco di classe, a un gol memorabile e decidi che quel fuoriclass­e diventerà il tuo idolo. Per sempre. Nel mio caso rimasi stregato dall’astuzia malandrina di Peirò, sistemata nel bel mezzo della notte magica di Inter-Liverpool, per quello scatto felino alle spalle del portiere inglese, la palla sottratta al palleggio sornione e il gol facile facile che diede il via libera alla finale milanese col Benfica. Me ne innamorai perdutamen­te.

Peirò aveva tutto per catturare la mia fantasia: i calzettoni abbassati alla Sivori, il numero 9 sulle spalle senza giocare da centravant­i classico, prima rappresent­azione italiana del falso neuve, persino la costrizion­e forzata in tribuna per via dei regolament­i dell’epoca (2 stranieri in campo e all’Inter c’erano già Suarez e Jair) mi pareva un segno di grandezza. Qualche anno dopo, nel giugno del ’69, arrivò la grande occasione. Da pochi mesi ero entrato nella grande squadra del Corriere dello Sport, collaborat­ore da Foggia recitava la tesserina bianca firmata dal segretario di redazione Cesare Nazzaro con tanto di foto tessera. La esibivo come una laurea dinanzi ai miei coetanei. Allo Zaccheria, potevo assistere seduto in tribuna stampa, in un caldissimo pomeriggio di fine giugno, alla sfida finale della coppa Italia, edizione giocata tra quattro squadre, tra cui il Foggia di Maestrelli, allora in serie B, e capace di eliminare il Napoli nel precedente turno. La Roma di HH si spianò la strada al successo con due sigilli di Fabio Capello e lo squillo di Peirò. Fu allora che mi venne l’idea. Chiesi a Massimo Lojacono, inviato del Corsport, di aiutarmi a chiedere e ottenere la maglia (bianca) di Peirò. Col trofeo tra le mani tornai a casa. Chissà dove la nascose mia mamma, non l’ho più ritrovata. E adesso mi manca maledettam­ente.

Mi stregò a Foggia: vinse la Coppa Italia con la Roma e mi regalò la sua numero 8

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Peirò a Foggia, con la Coppa Italia, il presidente Marchini e Helenio Herrera

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