Corriere dello Sport

Sartori: Disciplina e tanto lavoro così rimetto in sesto Cecchinato

Il coach ha iniziato a seguire l’azzurro in crisi «Dopo un 2018 straordina­rio, Marco si era adagiato e non si allenava come avrebbe dovuto. L’obiettivo è farlo tornare al top, mentalment­e e tecnicamen­te»

- Di Stefano Semeraro

In ogni fine, anche parziale, si nasconde un nuovo inizio. Lo pensano anche Massimo Sartori, storico coach di Andreas Seppi e scopritore di Jannik Sinner, e Marco Cecchinato, l’attuale numero 113 del mondo, in cerca di un rilancio che lo faccia uscire dalla crisi in cui è piombato dopo uno straordina­rio 2018 - semifinale a Parigi con vittoria su Djokovic e numero 19 del mondo - e un ottimo inizio di 2019.

I due si conoscevan­o già dai tempi in cui il ‘Ceck’ si allenava a Bordighera, e si sono ritrovati a Vicenza, dove oggi Sartori si è spostato per motivi famigliari. In mancanza di tornei da giocare, e con davanti l’incertezza assoluta per quanto riguarda la ripresa, gli allenament­i in solitario nelle strutture deserte del CT Vicenza sono l’occasione per mettere mano ad una ristruttur­azione completa del Cecchinato tennista: mentale, tecnica e fisica.

Sartori, come è nata la collaboraz­ione con Cecchinato?

«Da una sua richiesta d’aiuto. Aveva lasciato libero il suo staff, voleva provare a ripartire. Gli ho detto di sì, ma alle mie condizioni».

Che sarebbero? «Educazione. Regole. Rispetto reciproco. E tanto lavoro. Il fatto che abbia accettato di spostarsi a Vicenza, che era la mia prima condizione, è stato un segnale positivo».

Perché Vicenza?

«Mio padre è mancato a dicembre, già da novembre i miei erano tornati a Vicenza da Bordighera, dove avevano vissuto con me per dieci anni. Ho deciso di stare vicino a mia madre e di ricomincia­re da qui». Cecchinato star mondiale nel 2018, poi quasi incapace di vincere una partita per buona parte della stagione seguente: spiegazion­i?

«Marco ha avuto una stagione straordina­ria, anche dal punto di vista mediatico. E l’ha pagato. Era immaginabi­le che facesse qualche passo indietro, ma lui si è adagiato troppo, ha pensato che le cose sarebbero andate avanti da sole, ha smesso di allenarsi come doveva. Nel 2019 aveva iniziato con una semifinale a Doha e la vittoria a Buenos Aires. Quando è arrivata la stagione sulla terra, con tante aspettativ­e, si è bloccato anche di testa».

Ora qual è l’obiettivo? «Rimetterlo in pista: mentalment­e, fisicament­e e anche tecnicamen­te. Farlo tornare ad essere un giocatore, e non solo un colpitore come era diventato. Farlo galleggiar­e, evitando anche scelte sbagliate di programmaz­ione, come i tre Challenger sulla terra che ha preferito giocare a fine 2019 quando era in tabellone a Mosca e Vienna. Una follia».

Ci spiega meglio dove state intervenen­do tecnicamen­te? «Marco non può pretendere di tirare tutto, colpendo la palla molto alta. Non è uno che colpisce “forte”, è uno che colpisce “pesante”: sono cose differenti. Per avere una palla “pesante” non la si può colpire in alto. Adesso che ci alleniamo sotto un pallone dipinto di verde gli dico sempre: prima manda a giocare l’avversario sul ‘verde’, poi pensiamo a chiudere il punto». Con chi si allena?

«Con Stefano D’Agostino, un giovane di Trento che fa parte della scuderia Pro Kennex. Era a Brescia, l’ho fatto venire a Vicenza perché è un atleta di interesse nazionale e quindi può continuare ad allenarsi nonostante l’emergenza coronaviru­s».

In un circolo deserto… «Una situazione davvero strana. Ci fanno entrare, non possiamo neanche farci al doccia… E non è facile programmar­e il lavoro non sapendo quando si ricomincer­à. Ora lavoriamo 5 ore al giorno, in campo e con il preparator­e Massimilia­no Induccio. Magari, ci diranno che si riprende fra tre mesi e allora

«Nel 2019, con tante aspettativ­e, si è bloccato anche di testa»

«Il futuro? Che possa tornare tra i primi 50 mi sembra il minimo»

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