Sartori: Disciplina e tanto lavoro così rimetto in sesto Cecchinato
Il coach ha iniziato a seguire l’azzurro in crisi «Dopo un 2018 straordinario, Marco si era adagiato e non si allenava come avrebbe dovuto. L’obiettivo è farlo tornare al top, mentalmente e tecnicamente»
In ogni fine, anche parziale, si nasconde un nuovo inizio. Lo pensano anche Massimo Sartori, storico coach di Andreas Seppi e scopritore di Jannik Sinner, e Marco Cecchinato, l’attuale numero 113 del mondo, in cerca di un rilancio che lo faccia uscire dalla crisi in cui è piombato dopo uno straordinario 2018 - semifinale a Parigi con vittoria su Djokovic e numero 19 del mondo - e un ottimo inizio di 2019.
I due si conoscevano già dai tempi in cui il ‘Ceck’ si allenava a Bordighera, e si sono ritrovati a Vicenza, dove oggi Sartori si è spostato per motivi famigliari. In mancanza di tornei da giocare, e con davanti l’incertezza assoluta per quanto riguarda la ripresa, gli allenamenti in solitario nelle strutture deserte del CT Vicenza sono l’occasione per mettere mano ad una ristrutturazione completa del Cecchinato tennista: mentale, tecnica e fisica.
Sartori, come è nata la collaborazione con Cecchinato?
«Da una sua richiesta d’aiuto. Aveva lasciato libero il suo staff, voleva provare a ripartire. Gli ho detto di sì, ma alle mie condizioni».
Che sarebbero? «Educazione. Regole. Rispetto reciproco. E tanto lavoro. Il fatto che abbia accettato di spostarsi a Vicenza, che era la mia prima condizione, è stato un segnale positivo».
Perché Vicenza?
«Mio padre è mancato a dicembre, già da novembre i miei erano tornati a Vicenza da Bordighera, dove avevano vissuto con me per dieci anni. Ho deciso di stare vicino a mia madre e di ricominciare da qui». Cecchinato star mondiale nel 2018, poi quasi incapace di vincere una partita per buona parte della stagione seguente: spiegazioni?
«Marco ha avuto una stagione straordinaria, anche dal punto di vista mediatico. E l’ha pagato. Era immaginabile che facesse qualche passo indietro, ma lui si è adagiato troppo, ha pensato che le cose sarebbero andate avanti da sole, ha smesso di allenarsi come doveva. Nel 2019 aveva iniziato con una semifinale a Doha e la vittoria a Buenos Aires. Quando è arrivata la stagione sulla terra, con tante aspettative, si è bloccato anche di testa».
Ora qual è l’obiettivo? «Rimetterlo in pista: mentalmente, fisicamente e anche tecnicamente. Farlo tornare ad essere un giocatore, e non solo un colpitore come era diventato. Farlo galleggiare, evitando anche scelte sbagliate di programmazione, come i tre Challenger sulla terra che ha preferito giocare a fine 2019 quando era in tabellone a Mosca e Vienna. Una follia».
Ci spiega meglio dove state intervenendo tecnicamente? «Marco non può pretendere di tirare tutto, colpendo la palla molto alta. Non è uno che colpisce “forte”, è uno che colpisce “pesante”: sono cose differenti. Per avere una palla “pesante” non la si può colpire in alto. Adesso che ci alleniamo sotto un pallone dipinto di verde gli dico sempre: prima manda a giocare l’avversario sul ‘verde’, poi pensiamo a chiudere il punto». Con chi si allena?
«Con Stefano D’Agostino, un giovane di Trento che fa parte della scuderia Pro Kennex. Era a Brescia, l’ho fatto venire a Vicenza perché è un atleta di interesse nazionale e quindi può continuare ad allenarsi nonostante l’emergenza coronavirus».
In un circolo deserto… «Una situazione davvero strana. Ci fanno entrare, non possiamo neanche farci al doccia… E non è facile programmare il lavoro non sapendo quando si ricomincerà. Ora lavoriamo 5 ore al giorno, in campo e con il preparatore Massimiliano Induccio. Magari, ci diranno che si riprende fra tre mesi e allora
«Nel 2019, con tante aspettative, si è bloccato anche di testa»
«Il futuro? Che possa tornare tra i primi 50 mi sembra il minimo»