L’antidoping a due velocità
C’è in giro per il mondo un antidoping che viaggia su due binari, a due velocità. È un altro degli effetti sullo sport della pandemia, a poco più di quattro mesi dalla data che tuttora è quella dell’inizio dei Giochi (24 luglio).
C’ è in giro per il mondo un antidoping che viaggia su due binari, a due velocità. È un altro degli effetti sullo sport della pandemia, a poco più di quattro mesi dalla data che tuttora è quella dell’inizio dei Giochi olimpici (24 luglio). Nei Paesi dove i contagi sono in numero maggiore, i controlli sono sospesi. Fatalmente. I medici sono in trincea altrove. La stessa Agenzia mondiale antidoping (la Wada) afferma di aver consigliato ai singoli organismi nazionali di dare priorità alla salute e alla sicurezza dei cittadini. Il laboratorio di Roma è chiuso, così come sono fermi quelli di Barcellona, di Madrid, e perfino quello di Montreal, in Canada, proprio la città in cui ha sede la Wada. Qualunque cosa ne pensi Boris Johnson, si è appena arreso anche lo sport britannico e ha sollevato la medicina dal controllo degli atleti. L’agenzia britannica (Ukada) ha comunicato due giorni fa lo stop ai test. La Giamaica ha chiuso il suo laboratorio almeno per i prossimi sette giorni e non ha ancora ripreso a lavorare Chinada, la prima agenzia a fermarsi, a inizio febbraio, a Pechino, nel pieno del picco da contagi nel Paese.
Era ancora una fase in cui la comunità internazionale si sentiva al riparo. A dieci giorni dai Mondiali di ciclismo su pista, lo sport si preoccupava di potersi imbattere in qualche furbetto pronto ad approfittare dello stop in Cina. «Attendiamo notizie - diceva Cornel Marculescu, direttore esecutivo della Fina, la federazione internazionale del nuoto - Non sappiamo come saranno monitorati i nostri atleti». Era ancora aperto il caso Sun Yang, il nuotatore sotto processo per aver distrutto a martellate le provette durante un controllo a sorpresa da lui considerato non conforme. Giudicato colpevole, è stato squalificato per 8 anni.
QUESITI. Ora c’è una parte di mondo più colpita dal virus, dove l’antidoping non viene considerato una priorità. In questo emisfero sta l’Italia. Una questione è di carattere quasi filosofico. Se il regolamento prevede controlli “out of competition”, come può esistere in assenza di gare? La seconda è di natura giuridica. Il decreto del governo Conte limita gli spostamenti alle «comprovate esigenze di lavoro, motivi di salute e situazioni di necessità». I movimenti degli ispettori antidoping rientrano nella casistica?
Bella domanda. Non avendo niente da nascondere, la coppia d’oro del nuoto italiano, Martina Carraro e Fabio Scozzoli, non se l’è posta e ha aperto la porta di casa, qualche sera fa, a due ispettori giunti in guanti e mascherina negli orari della disponibilità comunicata dai due atleti, fra le 20 e le 21. Non erano alle dipendenze di Nado Italia, che sul nostro territorio non effettua controlli dal lunedì di Sassuolo-Brescia, ultimo evento sportivo. Non erano neppure incaricati dalla Wada ma dalla International Doping Test & Management
Agency, partner della Fina e di International Test Agency, che lavora su mandato del Cio. È molto probabile che alla missione in casa Scozzoli i due abbiano associato altre visite ad altri nuotatori. Resta il mistero sul luogo verso il quale stiano viaggiando le provette, considerato il blocco della circolazione e la situazione medica della pandemia. In ogni caso gli atleti italiani sono tenuti a compilare i “whereabouts”, la documentazione digitale sui loro spostamenti. La Wada ha aggiunto al software altre otto lingue, tra cui l’italiano.
Molto più insofferente ai controlli si è mostrata Alison Riske, tennista, 29 anni. «Adoro che mi sveglino per testarmi» ha scritto sui social. Suo marito, Stephen Armitraj, è stato più diretto e meno ironico. «Pandemia globale, stato di emergenza dichiarato in Florida, circuiti Atp e Wta sospesi, auto-isolamento. Quanto è sicuro andare di casa in casa per fare i controlli antidoping agli atleti? Interrompete questa pratica e riprendetela ai prossimi tornei». L’Usada, negli States, è ancora in servizio. Ha solo modificato il suo protocollo. Chiede ai suoi ispettori di indossare guanti e mascherina, di lavarsi le mani prima dei controlli e di non effettuarne ad atleti febbricitanti. Negli stessi States invece una lega privata quanto la Wta, la Nba, ha sospeso la vigilanza (i test possono arrivare fino a sei in un anno).
Quel che Nado Italia non ha bloccato sono i processi. Si tengono in video conferenza e ieri hanno portato alla squalifica per un anno di Michael Cattani, un giovane ciclista della categoria Allievi. Resterà fermo fino al 7 dicembre. Ma la sospensione dell’attività gli farà perdere meno gare.
Dalla Wada arriva il consiglio di dare priorità alla salute ma c’è chi procede su mandato Cio. Tra qualche mistero