Emozionando
Totti lungo per Gilardino, l’attaccante serve alle sue spalle, non lo vede ma lo sente, Del Piero che entra in area e con una veronica inesorabile e perfetta di destro infila il pallone all’angolino. Due a zero in un minuto. In casa dei tedeschi. Stadio a
Un gol al bacio
Francesco Totti abbraccia e bacia Alex Del Piero dopo il 2-0 che manda l’Italia in finale
GERMANIA (4-4-2): Lehmann; Friedrich, Mertesacker, Metzelder, Lahm; Schneider (38’ st Odonkor), Kehl, Ballack, Borowski (28’ st Schweinsteiger); Klose (8’ sts Neuville), Podolski. A disp.: Kahn, Jansen, Huth, Nowotny, Hamke, Asamoah, Hitzlsperger, Hildebrand. Ct.: Klinsmann
ITALIA (4-1-4-1): Buffon; Zambrotta, Cannavaro, Materazzi, Grosso; Camoranesi (1’ pts Iaquinta), Gattuso, Pirlo, Perrotta (14’ pts Del Piero ); Totti, Toni (29’ st Gilardino). A disp.: Peruzzi, Amelia, Zaccardo, Oddo, Barzagli, Barone, Inzaghi. Ct.: Lippi
ARBITRO: Arcundia (Messico)
Guardalinee: Ramirez e Vergara
Quarto uomo: Kamikawa
MARCATORI: 14’ sts Grosso, 16’ sts Del Piero AMMONITI: nel pt Borowski (G); nel st Metzelder (G), Camoranesi (I)
NOTE: Spettatori 65.000. Angoli 12-3 per l’Italia. Recupero: 1’ pt, 3’ st
Sulla Grosse Strasse di Norimberga, in fila in auto all’ora del tramonto, mi apparve chiaro che l’Italia avrebbe battuto i tedeschi e conquistato la sesta finale mondiale della sua storia. L’epifania era capitata a me, che non avevo mai indovinato un risultato. Anni prima avevo scommesso su un risultato, per il puro piacere di provare la banale sensazione della vincita. L’obiettivo era presentarsi con aria trionfante davanti all’annoiata addetta dello sportello dell’agenzia, sotto la redazione di piazza Indipendenza. Per questo avevo scelto un risultato scontato: vittoria della super Juve in casa contro l’Udinese di Bierhoff: dieci euro per vincerne uno. Naturalmente finì in pareggio. Stavolta, a quattro giorni dalla partita, era stato diverso da tutte le altre: decine di auto erano incolonnate lungo la corsia di destra della Grosse Strasse che fiancheggia lo stadio del Norimberga. Restava la corsia di sinistra, magicamente vuota. Su consiglio di un collega, Antonio Maglie, avevo deciso di mettere la freccia e scartare sul lato, convinto di ritrovarci dietro la pattuglia della polizei. Doveva pur esserci un motivo per cui tutti stavano, pazienti, in coda. Entrati nella corsia, avevamo cominciato ad avanzare e superare un’auto, poi due, poi tre, sotto lo sguardo degli automobilisti tedeschi, muti e impenetrabili. Poi, all’improvviso, si era materializzata un’auto alle nostre spalle. La polizia. No, era una berlina grigia, e dietro quella un’altra e un’altra ancora. Le auto di destra avevano seguito la nostra scia, rassicurate dal fatto che uno avesse aperto il varco. Lì era arrivata l’illuminazione: sì, i tedeschi, così lineari, razionali, i primi censori di loro stessi, non avrebbero avuto chance contro il nostro istinto di sopravvivenza nel momento in cui la fragilità della partita sarebbe emersa. Non ci sono individui, ma tedeschi, mentre noi siamo l’opposto.
In realtà, c’erano stati altri segnali. I nostri avversari, alla viglia, pensavano solo alla finale, avevano un’insolita ansia di arrivare prima possibile al futuro. La Federazione tedesca aveva già distribuito i biglietti omaggio per la notte di Berlino. La Bild aveva invitato a boicottare le pizzerie
La nostra prima pagina
“Vi amiamo” è il nostro titolo del 5 luglio 2006 con il quale celebriamo l’impresa azzurra e il sogno di volare a Berlino per la finale Mondiale: quella sera sarà poi la Francia a staccare il secondo pass italiane per ritorsione contro la squalifica a sorpresa di Torsten Frings dopo la rissa di Germania-Argentina, cosa di cui accusavano gli italiani. Il placido Jurgen Klinsmann ci aveva dato il cordiale benvenuto: «Dortmund sarà come un vulcano».
La città è apparsa rovente, attraversata da un fiume di maglie bianche, che andava dalla piazza del vecchio mercato, l’Alter Markt al parco dello stadio. Ma, pur giocando in casa, i tedeschi erano soli al mondo e lo sapevano. Diego Maradona li aveva bocciati: «La Germania perderà perché gioca male». Il vecchio presidente della Fifa, Joao Havelange, incontrato nella hall dell’hotel della Fifa a Berlino, ci aveva rassicurato: «A Italia vai ser campeao», diventerà campione. Ma in semifinale, avevamo ribattuto, c’è la Germania. E lui, senza cambiare espressione: «A Italia vai ser campeao». E poi i camerieri italiani di Amburgo che sognavano la rivincita, quelli in eterno esilio di Berlino che si erano appuntati la coccarda tricolore sulla camicia bianca tappezzata di sudore, i tifosi brasiliani che, con la solita fiducia nella magia nera di Yemanjà, avevano acquistato il biglietto della finale con cinque mesi d’anticipo. Erano tutti per noi. Come i due giovani californiani, Alethea Roth e Shawn Dufraine, registi innamorati dell’Italia, incontrati lungo il viaggio in treno da Berlino a Dortmund. Lei intenta a leggere un libro di Italo Calvino. Lui, sdraiato lungo il corridoio tra le file di poltrone a fare stretching. «L’Italia vincerà il Mondiale, siete speciali, i tedeschi non hanno fantasia», aveva confessato Shawn, dopo essersi rimesso in piedi. Queste erano le premesse.
Ma bisognava giocare e l’atmosfera è apparsa subito spaventosa. Il Westfalenstadion ha mostrato il suo abito più ostile e paralizzante. Il muro bianco di
Ha vinto tutto
Alex Del Piero, classe 1974, alla Juve dal 1993 dopo gli inizi nel Padova: nel 1995 l’esordio in Nazionale. Al Mondiale 2006 arriva con Lippi, il tecnico con il quale alla Juve aveva vinto anche Champions e Intercontinentale