Corriere dello Sport

«Il campo può ridarci allegria»

L’ex 10 di Napoli e Chelsea: «Ha un valore non solo simbolico di rinascita»

- di Antonio Giordano

Gianfranco Zola è l’amico (geniale) della porta accanto, la rappresent­azione vivente della Bellezza mescolata alla purezza, «Mi auguro che il calcio ci possa riconsegna­re allegria».

«Capisco che ci sia un senso di profonda preoccupaz­ione ma rivedere le squadre in campo può aiutare a ritrovarci dandoci allegria Una carica anche simbolica molto importante Ognuno deve dare il proprio contributo, da chi dirige il Paese alla gente comune Un grande sforzo collettivo per tornare alla normalità»

Il tempo s’è fermato e in quello sguardo da fanciullo, un’ode alla bontà, sembra di restare sospesi e leggeri nella dolcezza d’un dribbling, nell'incanto d’una veronica, nella poesia d’un tunnel: Gianfranco Zola è l’amico (geniale) della porta accanto, una cascata di sincerità che rinfresca, la rappresent­azione vivente della Bellezza mescolata alla purezza, da assorbire per star meglio con se stessi. Zola è la melodia d’un calcio narrato senza strillare, le movenze eleganti che appartengo­no alla sua natura, trasparent­e ed esemplare, la luce che guida per uscire da questo cono d’ombra dal quale bisognerà pur evadere per riappropri­arsi della vita. «Il calcio può aiutare a ritrovarci, perché dispensa allegria».

Nel magic box, il virus cos’ha lasciato?

«Un senso di profonda preoccupaz­ione per gli effetti - che si presumono devastanti - capaci di incidere sul sistema economico del Paese e più in generale del Mondo. Il rischio di un collasso. L’incertezza, perché non sappiamo cosa succederà, come diventerem­o, e la paura, in questo caso sì, delle difficoltà a cui la gente sarà costretta».

Sarà difficile rialzarsi.

«Si resterà sconvolti negli equilibri, con ripercussi­oni che già adesso si possono percepire. Ricomincia­re non può essere semplice e chiunque, da chi dirige il Paese alla gente comune, dovrà dare il proprio contributo».

È un impegno a cui dovrà assolvere anche lo sport.

«Per quel che può, essendo minato nel corpo e nelle finanze. E come terapia iniziale, ben venga il ritorno del calcio, che può fungere da terapia, perché fa bene all’umore. A modo suo, sistemare un partita al centro delle giornate, ha un valore non solo simbolico di rinascita: sarebbe un segnale di avviciname­nto alla normalità».

Zola è andato in astinenza? «M’è mancato ma abbiamo anche

Ufficiale in Italia e nel Regno Unito

Zola è Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico

avuto altro a cui pensare. Però ora qualcosa si muove e io non so bene se vedremo la fine del campionato in corso o l’inizio di quello che dovrebbe cominciare a settembre. Personalme­nte, mi auguro che si riesca a chiudere la stagione, perché sarebbe ingiusto non farlo».

Servono strategie e una politica perché si possa riaprire il 13 giugno ma senza tutti queste condizioni...

«Ci vogliono piani alternativ­i nella eventualit­à di casi di contagio o persino nella ipotesi di ricadute. Ho provato a pensare cosa farei io se dovessi avere il potere decisional­e, e mi è venuto mal di testa. Però quando si presenta una situazione eccezional­e, come quella che stiamo vivendo, bisogna regolarsi con strumenti e risposte egualmente eccezional­i ed immediate che soprattutt­o il calcio - una delle industrie più importanti dell’Italia - può fornire. Il football può offrire distrazion­e e accendere il fuoco d’una passione che in questi ultimi tre mesi di tragedie e paure si è sopita».

Permetta: il dio del calcio è stato ingiusto, avendo lasciato a Zola un solo scudetto.

«Però la sua tesi rappresent­a un falso storico, perché quel titolo conquistat­o a Napoli ne vale almeno dieci vinti altrove. E quel trionfo ha avuto un significat­o straordina­rio, a modo suo storico, se chiarament­e combinato con il primo».

Sul suo rapporto con Maradona (quasi) tutto è stato scritto.

«E penso poco si possa ancora aggiungere. Fenomeno imparagona­bile, un alieno. Lui è appartenut­o ad un’altra Galassia ed è sceso sulla terra per donarci il suo calcio. Io ho avuto la fortuna di arrivare a Napoli ed imbattermi in lui: provate voi a chiedere, ad un ragazzo di ventitré anni, che si ritrova catapultat­o in quella squadra fantastica, cosa possa significar­e incontrare Maradona e stargli al fianco?».

Questo, il nostro, non sembra più un Paese, per numeri 10... Mentre ai suoi tempi e anche un po’ prima ma pure un po’ dopo...

«C’è stata una generazion­e di talenti che nasceva e si riproducev­a. Una sequenza di geni che restano lì, scolpiti nel tempo: abbiamo avuto i Mancini e i Baggio e i Del Piero e i Totti e una serie A che ne ha accolti poi dall’estero. Non ci è mancato niente».

Lei fa il modesto e però c’era anche Zola.

«Mi sono piaciuto, soprattutt­o perché sono riuscito a restare sempre me stesso. Ho avuto genitori che mi hanno formato con solide basi e ho una moglie che rimane una figura centrale. Non ho mai perso l’orientamen­to, nonostante il ruolo da privilegia­to e il pericolo che idolatria e benessere rappresent­avano».

Ma è finita con i «10»?

«È cambiato il calcio, che ora si fonda su criteri diversi, schemi che hanno abolito o quasi certe figure. Ma l’intelligen­za resta utile, anche indispensa­bile. Ora gli allenatori preferisco­no la costruzion­e dal basso e i difensori sanno giocare meglio. E’ una forma nuova che però non sopprime l’intelligen­za».

A Zola quale 10 italiano è piaciuto di più?

«Tengo fuori da questa classifica, figlia di una domanda carogna, Maradona: e tutti ne comprender­anno il perché. Ma non è neanche necessario poi sottolinea­re che siamo al cospetto comunque di calciatori enormi, direi straordina­ri, ognuno capace di esaltare. Ma se devo sceglierne uno e uno solo, allora voto Totti: influente sempre, nel segnare e nel consentire di farlo. Forse, complessiv­amente il più completo. Pensi che lo preferivo persino a Zola...».

Ha visto debuttare in serie A Gigi

«La rete più bella? Quella realizzata a Wembley con la Nazionale contro gli inglesi Una vittoria che ci mancava da ventiquatt­ro anni»

«I numeri 10? Escludiamo Maradona perché è di un altro pianeta Tra gli italiani dico Totti. Così bravo che lo preferivo anche a Zola...»

«Mi scoccia molto essere soltanto vicecampio­ne del Mondo: il Brasile nel 1994 si poteva battere ma in finale diversi azzurri non erano al top»

Buffon, che ancora sta là, in mezzo al campo. «E capii subito, me ne posso vantare, che stavamo di fronte a un ragazzo destinato a diventare leggenda. Ci ho preso subito, anche se era facile. Mi è sempre piaciuto il calciatore e ancor prima l’uomo: solare, positivo, trascinant­e, carismatic­o. Quando ti allenavi, se decideva di non farti fare gol, diventava complicato e quasi impossibil­e riuscirci. S’è meritato quello che ha inseguito e sono felice per lui».

Scherziamo­ci su, sfatando anche qualche leggenda metropolit­ana: quante volte ha incontrato Ancelotti, da quel 1997? «Una serie infinita di incontri, di confronti e di chiacchier­ate con un grande allenatore e una persona perbene. Io con Carlo non ho mai avuto problemi, né lui con me: quella storia al Parma era destinata a finire ed è così che doveva andare. Ma non ci sono responsabi­lità sue, né mie. E poi quella cessione al Chelsea penso che abbia lasciato in ognuno soddisfazi­one. Io mi sono trovato all’inizio di un ciclo meraviglio­so, in una città che poi è diventata casa mia».

Nel ‘95, entrò nella top ten dei candidati al Pallone d’oro. «Lo vinse Weah e io che avevo cominciato bene, fini calando. Ma pure quella resta una soddisfazi­one».

Wembley, 12 febbraio 1997, qualificaz­ioni ai Mondiali, Inghilterr­a-Italia 0-1, gol di Zola. «Dimenticar­e, almeno per me, non si può. Gli inglesi in casa loro erano il nostro tabù, ci avevamo vinto una sola volta, rete di Fabio Capello, ma ventiquatt­ro anni prima. E toccò a me, quella volta, ed io ero già a Londra, nel Chelsea. A fine partita, davanti all’ingresso degli spogliatoi­o, mi ritrovai Fulvio Marrucco, che non è solo il mio manager ma assai di più, in lacrime. Se non mi fosse stata chiara l’importanza anche dal punti di vista emozionale di quella vittoria, me ne sarei dovuto accorgere per forza».

Per lei si è «scomodata», nel 2004, la regina Elisabetta, nominandol­a membro dell’Ordine dell’impero britannico. «Mi sono stabilito in Inghilterr­a perché ci siamo trovati bene, sempre. E sono rientrato in Italia, proprio all’inizio di questa emergenza, sempliceme­nte perché mi sembrava che avessimo preso coscienza meglio della drammatici­tà del momento. Sono grato all’Inghilterr­a per l’affetto e per i sentimenti veri che mi ha sempre riconosciu­to».

Curiosità: non è ben chiaro cosa ci facesse con quella «25» poi ritirata... «Quando arrivai la numero 10 era sulle spalle di Mark Hughes, non so se vi è chiaro. E io provai timidament­e e rispettosa­mente a provocarlo, chiedendog­li quante fossero le possibilit­à di strappargl­iela. E lui simpaticam­ente ed amichevolm­ente mi mandò a quel paese. Mi fu proposta la 21, ma dopo l’esperienza al Mondiale americano, preferii evitarla...».

Essere stato (solo) vice campione del Mondo l’amareggia ancora. «Mi scoccia molto, perché eravamo i più forti, direi anche nettamente. Penso e spero che non si risentano i giocatori del Brasile, dei quali ho stima gigantesca. Ma noi avevamo un gruppo dalla forza impression­ante. Però arrivammo distrutti alla finale, dopo un po’ vennero i crampi a qualcuno, c’era chi era reduce da infortuni e chi aveva accusato difficoltà in precedenza e giocò da mezzo infortunat­o. Tutto ciò fu condiziona­nte».

La Nazionale è il suo rimpianto, par di capire. «Sono felice di quello che ho realizzato e del modo in cui sono riuscito ad ottenerlo. Sono partito dalla strada, sono fiero delle mie origini, però penso che per varie ragioni - perché il destino anche così ha voluto - non sono riuscito a dare in azzurro quanto invece sono stato in grado di offrire ad ogni club».

Aspettando che nasca un nuovo Zola, non solo calcistica­mente, ma nello stile, nel modello di vita, cosa si augura adesso? «Che finisca tutto e che si prenda insegnamen­to da quello che stiamo vivendo. E che il calcio ci possa riconsegna­re la serenità che purtroppo abbiamo smarrito».

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 ??  ?? Zola ha indossato la maglia del Napoli dal 1989 al 1993: 136 gare e 36 gol
Zola ha indossato la maglia del Napoli dal 1989 al 1993: 136 gare e 36 gol

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