Real e Barcellona contro le decisioni del Governo
BARCELLONA - «L’indice di riproduzione del virus è ora inferiore a 1 e il ritmo di contagio è ormai è allo 0,24%, oltre cento volte meno rispetto a quando abbiamo decretato lo stato d’allerta». Con questo incoraggiante annuncio, il Premier spagnolo Pedro Sanchez (nella foto) ha aperto l’ormai consueta conferenza stampa del sabato per avvisare, però, che prevarrà ancora la linea della prudenza, che si tradurrà nella richiesta al Parlamento di una ulteriore proroga dello stato d’allerta, che a differenza di quelle precedenti non durerà due settimane, ma un mese intero. Nelle intenzioni sarà l’ultima e coinciderà con il termine della “desescalada”, la riduzione progressiva delle misure restrittive imposte ai cittadini per affrontare la crisi. A partire da domani, comunque, la stragrande maggioranza della penisola iberica passerà dalla fase 0 alla fase 1. Le aree di Madrid e Barcellona, però, non si gioveranno del provvedimento, insieme alle 7 squadre di Liga dei territori esclusi. La questione era già stata affrontata nella riunione della Lega con i 42 club delle due massime serie, venerdì scorso, perché suppone conseguenze importanti. Tra ventiquattr’ore, infatti, le compagini che entrano nella fase 1 potranno dare un salto di qualità ai loro allenamenti, passando dalle sedute individuali a quelle a coppie o a piccoli gruppi. Una disparità denunciata dalle 7 geograficamente penalizzate, Real, Atletico, Leganes, Getafe, Valladolid, Espanyol e Barcellona, che pretendono di poter lavorare nelle medesime condizioni della concorrenza. Tebas starebbe ragionando su due ipotesi. La prima prevederebbe lo spostamento delle 7 danneggiate in territori più propizi. La seconda, decisamente più gradita, passa per un ordine ministeriale che permetta il medesimo salto di qualità negli allenamenti per tutte le squadre professionistiche. Occorre, però, un nuovo assist del Governo. Ma visto l’andazzo, Tebas potrebbe riuscire a strappare l’ennesima concessione in tempi brevi.