«AL BASKET SERVE TORINO IN SERIE A»
Il presidente della Dinamo Sassari ha fatto risorgere il club dalle sue ceneri Sardara: «Ha impianti e mezzi economici. Questa è la città ideale per far parlare di pallacanestro»
Da Vittorio Amedeo II di Savoia a Stefano Sardara da Sassari. Duecento anni dopo, è la Sardegna ad avere “annesso” il Piemonte, per portarlo al tavolo dei grandi del basket italiano. Torino ritorna in serie A. Promossa a tavolino come capolista di un ranking che ha tenuto conto di risultati, organizzazione, solidità economica e pubblico.
UN ANNO. Il tutto appena un anno dopo che Sardara ha trasferito nella città della Mole Antonelliana il titolo della A2 dalla Cagliari Academy, dove il progetto non aveva attecchito nei due anni di sperimentazione. Il presidente della Dinamo Banco di Sardegna cita sempre una dichiarazione del sindaco torinese Chiara Appendino: «La città non può fare a meno del basket di serie A ma neanche il basket può fare a meno di Torino».
Sardara, cosa vuol dire Torino in A?
«Una fetta importante di storia del basket. A Torino hanno impianti, mezzi economici, i 2.500 spettatori di media in Legadue significano entusiasmo. C'è davvero tutto per fare bene»
Costruire il rilancio del club piemontese è stato difficile?
«E' stato difficile ripartire dopo un fallimento: c'era scetticismo ma per il resto Torino è una piazza ideale per parlare di pallacanestro e di impresa, e questo ha facilitato le attività impostato sul modello Dinamo»
La volontà è sempre stata quella di salire: pensavate di farcela dopo un solo anno?
«La squadra era prima in classifica del girone Ovest della A2, e ha disputato la finale di Coppa Italia, quindi sul campo stava andando meglio di quanto potessimo prevedere. Ma anche a Sassari abbiamo anticipato i tempi: nel 2013 facemmo un piano quinquennale per arrivare a giocarci lo scudetto. Il titolo italiano lo abbiamo vinto nel 2015, ben prima del previsto, e abbiamo dovuto riprogrammare».
L'obiettivo dichiarato era: riportare il grande basket a Torino e poi lasciare il campo. Che succede ora?
«Cederemo le quote di maggioranza nei tempi previsti per l'iscrizione al campionato».
Chi subentrerà?
«Stiamo cercando un gruppo coeso che porti avanti il progetto che abbiamo iniziato. Da sempre abbiamo lasciato le porte aperte a soluzioni locali e anche internazionali. Ci sono anche due fondi internazionali interessati ma la priorità l'ha il tessuto economico torinese. Credo che alcune soluzioni possano andare in parallelo. L'ideale sarebbe un mix».
Cosa cambierà nello staff organizzativo?
«E' presto per dirlo, ma credo che l’amministratore delegato Renato Nicolai e il direttore generale Viola Frongia resteranno. Poi la nuova proprietà farà le sue scelte».
Cosa pensa del campionato di A con 18 squadre?
«Per rispetto non ho votato. Comunque le giornate sono le stesse di quando avevamo 17 squadre. Poi bisogna capire quante squadre sono pronte ad affrontare il nuovo progetto: sappiamo che dalla A2 altre società possono sostenere la A in caso di defezioni. »
E Sassari?
«Siamo solidi, abbiamo fatto scelte strategiche già da tempo. Anche noi in questa tempesta abbiamo imbarcato un pochino d'acqua, ma senza correre pericoli e l'imbarcazione è già asciutta e può navigare in campionato e nelle coppe europee. Guardiamo al futuro con attenzione e serenità».
Appuntamento dunque ad agosto con la Supercoppa: concorda con la formula? «Festeggiamo i 50 anni della Lega Basket, e poi abbiamo bisogno di tornare alla normalità. Mi sembra una formula intelligente».
Porte chiuse o palazzetti aperti?
«Oggi è difficile dirlo: a marzo vedevamo un mondo, ad aprile un altro e ora a maggio un altro ancora. Forse dovremo mettere gli scanner, ma abbiamo 4 mesi davanti. Mi conforta che, in attesa del vaccino, la medicina stia facendo passi da gigante sulle cure».
«Ora cederò le mie quote di maggioranza nei tempi previsti: porte aperte a imprenditori locali e internazionali»
«Due fondi si sono già mostrati interessati alla società, ma la priorità l’avrà sempre il tessuto torinese»