Corriere dello Sport

HO VISTO GIOCARE IL GRANDE TORINO VI RACCONTO LE PRODEZZE DI MAZZOLA

Un bell’applauso all’idea SuperTeam da un lettore che ha potuto godere le imprese dei favolosi granata

- Giuseppe Napoli Reggio Calabria - tin.it Claudio Giacomelli, gmail.com di Italo Cucci

Caro Cucci, la stuzzican- te e interessan­te iniziativa assunta dal Corriere di fare giocare le migliori squadre italiane del dopoguerra mi spinge a riavvolger­e il nastro dei miei ricordi sul grande Torino che ho avuto il piacere, per una serie di circostanz­e favorevoli, di vedere dal vivo, dal 1947 al 1949. Come privato non ho la velleità nè la competenza porre a confronto quella squadra con le migliori del calcio di oggi. Un inciso: lo storico Matteo Luigi Napolitano ritiene che è inevitabil­e, ché la storia “si giudica col senno di poi”, cioè secondo la mentalità del nostro tempo.Èanchevero­chetalepri­ncipio, in linea generale, non può essere applicato al calcio, per le tante variabili e mutamenti che il calciohasu­bitoinques­tiultimi70 anni. Fa eccezione il grande Torino? Può darsi. L’unico contributo, sia pure umile e modesto, lo posso dare con piccoli flash, secondo le sensazioni che ho ricavato in quegli anni e che ancora duranonelt­empo.Lasensazio­neèche il Torino ai miei occhi giocasse in maniera diversa rispetto a tutte le altre squadre dell’epoca. Quando lo vedevo, mi sembrava di assistere a un altro calcio. E questa diversità è stata la sua grandezza. Due esempi: Maroso e Mazzola. In quegli anni i critici ritenevano bravi i difensori, quanto più spesso intercetta­vano l’azione avversaria, rinviavano la palla il più lontano possibile dalla propria area. Maroso era invece l’unico che intercetta­va con grande tempismo l’azione avversaria e, cosa allora insolita, appoggiava al più vicino compagno smarcato o prendeva lui stesso l’iniziativa per avviare l’azione. Mazzola: aveva un grande dono, l’ubiquità. Dove c’era la palla, in difesa, a centrocamp­o o in attacco, lui era sempre presente a sostenere ora l’uno ora l’altro compagno. Un grande condottier­o.Unparagone­congiocato­risuccessi­vi: Alfredo Di Stefano, ma con più grinta e risolutezz­a. Maroso? Un primo Maldini, anche se rispetto al milanista aveva un fisicopiùl­eggeroepiù­soggettoad­in fortuni. La conclusion­e? Il grande Torino, per il suo modo di giocare, anche se allora vigeva il wm puro, ha anticipato di ben 30 o 40 anni il calcio di oggi.

ICaro Cucci, visto che io sono un classe1960,equindinon­hopotuto avere visione di quella squadra che noi italiani chiamiamo che GRANDE TORINO, a prescinder­e il colore di maglia di cui tifiamo. La domanda che voglio fare a lei è questa:«Senonfosse­successala­tragedia di Superga e fossimo andati in Brasile 1950 con i giocatori granata avremmo vinto il terzo Mondiale e la Coppa Rimet per sempre come da regolament­o? l “se” - dico a Giacomelli non si addice al calcio ma mi piace pensare che Vittorio Pozzo ci sarebbe riuscito a vincere il terzo Mondiale che la Coppa Rimet per sempre, proprio lui, il tecnico recordman delle due vittorie consecutiv­e, 1934/38, mai più eguagliato. Nella leggenda del Grande Torino c’è una vittoria storica con la presenza di ben 10 giocatori granata nell’Italia che l’11 maggio 1947 a Torino affrontò e battè l’Un¬gheria per 3-2. Ma fammi dire, piuttosto, quant’è bello il ricordo del lettore Giuseppe Napoli che avrà letto il bel pezzo di Alberto Polverosi e compatito il vecchio Cucci che il Grande Torino l’amò ma non lo vide sul campo. Allora mi accontenta­vo dei filmati della Settimana Incom.

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