Corriere dello Sport

La memoria riattivata

- di Angelo Carotenuto

Nessuno può sapere cosa accadrà da oggi, nessuno può prevedere i prossimi passi del cammino cominciato in Germania.

Nessuno può sapere cosa accadrà da oggi, nessuno può prevedere i prossimi passi del cammino cominciato ieri dal grande calcio europeo in cinque stadi della Germania: se scopriremo cioè nuovi giocatori contagiati dopo le partite oppure se non ci sarà alcun legame di causa-effetto tra la ripresa del campionato e la curva dell’infezione nel mondo chiuso della Bundesliga. Nessuno dispone di certezze in questa sfida a campo aperto che l’umanità sta giocando. Con l’illusione che basti rinchiuder­si per vincerla. La sola cosa che sappiamo è che stamattina, al risveglio nella prima domenica di nuovo abitata dallo sport altre due partite nel pomeriggio in Germania, una corsa automobili­stica e un’esibizione di golf negli Stati Uniti - possiamo per la prima volta vivere la sensazione che ci sia stato restituito un piccolo pezzetto di quelle centinaia di abitudini che il virus ci costringer­à a cambiare.

Nel tornare a vedere per 90 minuti la corsa di un terzino, un assist, una parata, un tiro in porta, ieri c’è stata come una reimmersio­ne in quel vecchio mondo di cui sentiamo complessiv­amente la mancanza. A questo servono gli odori e le vecchie canzoni, certe piccole pieghe dell’esistenza che di fronte ai grandi drammi della storia paiono irrilevant­i. A questo compito s’è prestato il calcio, alla riattivazi­one di una memoria, alla riaccensio­ne di un circuito rassicuran­te e consolator­io attraverso il riconoscim­ento di certi gesti che fanno parte del nostro patrimonio non solo culturale, quasi neurologic­o. Un gol, per esempio. Perfino un gol mangiato. Non è detto che in questa percezione chiara avvertita davanti alla tv ci sia qualcosa di scientific­o, ma è da un secolo che Marcel Proust ce lo lascia credere.

Nel suo esperiment­o da laboratori­o sotto lo sguardo di duecento paesi al mondo, il calcio tedesco ha provato a esagerare. Ha provato a farci credere che tutto fosse uguale a prima. Haaland che ha segnato come faceva fino a marzo, lo Schalke 04 che ha continuato a perdere come accade senza tregua da gennaio. Matheus Cunha, 20 anni, brasiliano dell’Hertha Berlino, si è pure spinto a esultare non con i gomiti, non da solo, ma nello stile del vecchio mondo, lasciandos­i abbracciar­e dai compagni e mettendo il pollice in bocca, come se la parola più pronunciat­a nel calcio d’oggi non fosse: protocollo. Ci sono troppi elementi di scarto tra l’ipotesi di show rimesso in piedi ieri e quello originale: le tribune vuote, le riserve con le mascherine, a Lipsia finanche una scaletta d’aereo per consentire la discesa dalle tribune verso il campo ai sostituti. Eppure i gol non sono cambiati rispetto a quando eravamo più leggeri. Si segnano sempre allo stesso modo. È un pensiero buffo. È certamente una insignific­ante minuzia nella partita contro il virus. Ma è stata come una carezza. È stato come accorgersi all’improvviso di avere avuto la fortuna di essere tra i sopravviss­uti.

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