Lippi striglia l’Italia: «Dignità per il calcio»
«Troppa demagogia ci si dimentica che parliamo di un’industria Leggo e sento cose vergognose Moriremo di individualismo a ogni livello si pensa soltanto al tornaconto, alla poltrona»
Dura nove minuti e mezzo: nasceva come un’intervista e si è presto trasformata in un monologo coraggioso, appassionato, potente, libero: di quella libertà che si conquista con l’età, l’esperienza e tanti successi e consensi. Marcello Lippi a Radio Deejay, ieri all’ora di pranzo: io e Fabio Caressa ad ascoltarlo riducendo all’essenziale le domande. Gli elementi della conversazione amichevole, il tono giusto, una partenza di leggerezza piena e risate, tante, alla quale ha fatto seguito un’improvvisa invettiva contro l’individualismo.
«Se parliamo del presente, c’è da mettersi le mani nei capelli. Viene strumentalizzato tutto, se qualcuno fa qualcosa di buono viene ostacolato»
«E a livello scientifico è ancora più vergognoso: siamo nel 2020 e non siamo in grado di trovare un rimedio per questo cavolo di virus»
«Sono incazzato, leggo e sento cose vergognose. Non sopporto più discorsi del tipo “facciamo squadra, dobbiamo essere compatti, coesi” quando ad ogni livello si pensa soltanto al proprio tornaconto, alla poltrona. Perché il calcio professionistico non dovrebbe ripartire? Troppa demagogia, ci si dimentica che è un’industria e come tale deve essere trattato»
Dura nove minuti e mezzo: nasceva come un’intervista e si è presto trasformata in un monologo coraggioso, appassionato, potente, libero: di quella libertà che si conquista con l’età, l’esperienza e tanti successi e consensi. Marcello Lippi a Radio Deejay, ieri all’ora di pranzo: io e Fabio Caressa ad ascoltarlo riducendo all’essenziale le domande.
Gli elementi della conversazione amichevole, il tono giusto, una partenza di leggerezza piena e risate, tante, alla quale ha fatto seguito un’improvvisa invettiva contro l’individualismo di un Paese - il suo, il nostro, l’Italia - e contro la poltronofilia (copyright Grillo? nda), la demagogia, l’indecisionismo, l’ipocrisia.
Lippi si è riscaldato ricordando Bob Vieri, il padre di Christian “shave like a bomber”: «Era troppo forte» l’esordio «vi racconto una cosa, l’ho raccontata a Bobo, s’è messo a ridere e non smetteva più. Bob arrivò a Genova nel ’66-67, con un Gt veloce. Vi ricordate il Gt veloce? Era la macchina dei papponi, a quei tempi c’erano la Fulvia coupè col tettino bianco e il Gt veloce, lui venne col Gt veloce. Mentre andava all’allenamento a Recco lo fermò la polizia, gli chiese i documenti e lui: “La patente ‘un ce l’ho, ‘un ce l’ho”, in toscano. “Come non ha la patente?” “Sì, lo so, ‘un ce l’ho. Ho comprato la macchina, vuol dire che piglio anche la patente”. La sua logica era questa: scusate, eh, ho comprato la macchina, certo che prenderò anche la patente, sennò che la compravo a fa’ la macchina?».
Si capiscono anche tante cose del figliolo.
«Ma no... era forte, era troppo forte il papà di Bobo. Simpaticissimo, ed era un genio. Bernardini era innamorato di lui».
Hai avuto un grande maestro, lo ricordi spesso.
«Il più grande di tutti, il più grande di tutti». Fateci caso, Lippi per abitudine reitera le frasi, quasi a volerne rafforzare il contenuto. «Fulvio Bernardini è la figura non solo professionale che mi sono sempre posto come punto di riferimento. Intanto a quell’epoca era l’unico laureato. In Economia e Commercio, un uomo intelligente, colto. E aveva una qualità eccezionale per chi guida una squadra, un gruppo di lavoro in generale: imponeva la sua personalità senza annullare quella degli altri».
Noi bolognesi saremo eternamente grati e legati a “Fuffo” Bernardini, il padre dell’ultimo scudetto.
«Eh, lo so, lo so. Era fantastico. Abitavo vicino a lui, pensa, a Bogliasco. Quando divenne citì della Nazionale andarono a giocare in Olanda, persero 3 a 1, lui mise Orlandini a marcare Cruijff, no? Il giorno dopo, rientrando a casa, mi scorse su uno scoglio, stavo pescando, si avvicinò, si sedette di fianco a me e mi raccontò tutta la partita. Pensa che persona era…».
Quella Nazionale veniva dal pessimo Mondiale del ’74, lui rivoluzionò completamente la squadra e il lavoro.
«Esatto, arrivò insieme a Beartutto zot, fece un sacco di convocazioni, chiamò anche giocatori sconosciuti, Bernardini era di una pasta unica, un’intelligenza superiore. Bearzot era l’allenatore dell’Under 23, nel ’70, ’71 e ‘72 c’era l’Under 23 della quale facevo parte anch’io. Quattro anni dopo Bearzot fece il Mondiale da solo».
Valcareggi, Bearzot e in seguito Vicini.
«I federali».
Pensa, siamo partiti da Bob Vieri, Bernardini e Bearzot. «Abbiamo pescato un po’ nel passato, perché se parliamo del presente c’è da mettersi le mani nei capelli».
Il nostro presente è fatto ancora di repliche e restrizioni.
«Il presente è veramente vomitevole. Vomitevole il presente».
E qui Lippi si è acceso e ho riconosciuto il Lippi più vero, quello che incontrai la prima volta trent’anni fa a Cesena. «Mi fa incazzare, te lo dico sinceramente. Sento solo discorsi di questo tipo: bisogna fare squadra, bisogna essere uniti, compatti, coesi. Essere squadra? Ognuno pensa ai cavoli suoi, ognuno pensa a casa sua, pensa alle poltrone, a livello politico, a livello scientifico, a tutti i livelli».
Prendiamo il calcio: non a caso oggi (ieri) è partito chi ha saputo fare davvero sistema, la Bundesliga anti-Covid. Dal primo momento i tedeschi hanno detto: si parte tutti insieme, e basta. «Qui in Italia si strumentalizza
a proprio uso e consumo. Se c’è qualcuno che fa o dice qualcosa di buono viene immediatamente sputtanato, gli mettono i bastoni tra le ruote. A livello scientifico è ancora più vergognoso: ma, dico io, siamo nel 2020, andiamo su Marte e non siamo capaci di trovare una medicina, un rimedio per questo cavolo di virus, un vaccino, dài! Se uno scopre una cosa importante che potrebbe risolvere i problemi di un’altra nazione la tiene per sé, non la comunica perché non vuol far fare bella figura all’altro, questa è la situazione».
Un po’ semplicistico, forse, ma chiaro e efficace.
«È così, è veramente vergognoso. Ci si chiede se ripartire o no, perché non si dovrebbe ripartire?
«Ci dicono che dovremo convivere a lungo con questo virus, ma riparte questo, riparte quello... e allora anche il calcio deve ricominciare» «Bernardini era il più grande di tutti. Sapeva imporre la sua personalità senza soffocare quella degli altri»
Lippi sul grande tecnico, suo punto di riferimento
«Bob Vieri era troppo forte, un genio. Arrivò a Genova con il Gt veloce... ma non aveva la patente»
Lippi su Bob Vieri, l’ex bomber, papà di Christian
«Bearzot fece tutta la trafila, era tra i “federali” Guidò l’Under 23 e chiamò anche me. Poi arrivò al Mondiale»
Sul ct azzurro che trionfò 24 anni prima di Lippi
«Non è più come due mesi fa, quando ci siamo trovati a dover far fronte a uno tsunami Oggi siamo in grado di contrastare la pandemia»
«La Bundesliga? La sto vedendo, è calcio vero Non so se si possa parlare di nuova normalità, ma di calcio sì, si deve parlare»
Certo che bisogna ripartire».
Viviamo nell’incertezza più totale, dentro una confusione alimentata continuamente. Ho appena letto un rapporto dei medici tedeschi uscito dal Ministero dell’Interno, nel quale si afferma che “il coronavirus è un falso allarme globale”. Un atto di ribellione contro la narrativa ufficiale. Non so, non sappiamo più cosa prendere per buono. «Ma poi, tra l’altro, ci dicono da un sacco di tempo che dovremo convivere a lungo con questo virus. Riparte quello, riparte quell’altro, e allora perché il calcio non deve ripartire? Non è più come due mesi fa quando purtroppo ci siamo ritrovati a dover far fronte a uno tsunami, una crisi drammatica che non eravamo preparati a gestire. Persone che finivano in ospedale quando ormai era troppo tardi. Non c’era l’organizzazione che c’è adesso. Il virus ha perso potenza, numerose terapie
intensive sono vuote, oggi siamo in grado di contrastare diversamente la pandemia e allora cosa spinge qualcuno a sostenere che il calcio non deve ripartire. Nei confronti del calcio c’è una demagogia impressionante, un moralismo inaccettabile. Il calcio può piacere o meno, si può essere tifosi o non tifosi, ma una cosa non va mai dimenticata: il calcio professionistico è un’industria e come tale deve essere trattato».
Ho richiamato Lippi a metà pomeriggio, stava seguendo le partite della Bundesliga. «È calcio vero», mi ha detto. «Non so se si possa parlare di nuova normalità, ma di calcio sì, di calcio si deve parlare».