Corriere dello Sport

«TROPPO DOLORE ORA GIOCHIAMO»

«Per la gente il campionato può ridare normalità Totti? Gli auguro una grande carriera Che gioia all’Inter»

- di Giancarlo Dotto

«Sono nel luogo preferito di casa mia», scandisce e scolpisce Lucio, sessantenn­e smagliante, t-shirt nera a maniche corte, una Bic da tormentare.

«Sono nel luogo preferito di casa mia» scandisce e scolpisce Lucio, sessantenn­e smagliante, t-shirt nera a maniche corte, una Bic da tormentare. Alle spalle non la collezione di martelli, l’altra sua passione, ma quella delle maglie dei calciatori. Centinaia di maglie piegate con devozione maniacale, Ronaldo, Baggio, De Rossi, Pizarro, Hulk, Rivaldo, Higuain, Batistuta, Recoba, Cavani, Robinho, tra le tante (non vedo quella di Totti, ma ci sarà sicuro magari nascosta dalle sue possenti spalle). Il pallone torna a rotolare, Luciano Spalletti torna a parlare. Due eventi abbastanza memorabili, catturati da telecamere e microfoni Sky. Entrambi, pallone e Lucio, riemersi in discreta forma dalla voragine Covid e shockdown annesso.

Se il pallone torna nella sua bolla sterile, indispensa­bile ma malinconic­o, servito come una pietanza fredda appena estratta dal frigidaire, Spalletti è subito fuoco, una bella pira accesa di ricordi e smanie. Lo ascolti due minuti ed è subito nostalgia di quello che è stato, voglia di quello che sarà. Strappato per un’ora Luciano dalla sua campagna e dai suoi dedalici pensieri, in perfetta e chissà se beata solitudine, dove avrà bruciato chissà quante tonnellate di scorie in questi mesi di clausura, ricordi e tormenti sparsi dell’uomo di Certaldo, detto anche “Corvo non avrete il mio scalpo”. Strappato per un’ora ai suoi campi, i suoi animali, i cavalli, Astra il preferito, i quattro ciuchi, le anatre, i cani, gli struzzi, tutti. Niente gatti e maiali. A vezzeggiar­e la sua latente misantropi­a verso tutto ciò che non ha l’odore delle sue radici e la sempre meno latente lunatica follia che lo rende un esemplare unico al mondo, certamente unico nello zoo calcistico.

Te lo immagini provato, immalincon­ito o cupo? Immagini male. Parte subito forte, Luciano, prima ancora che qualcuno lo interroghi, con un potente inno al calcio, «questo sport che mi ha regalato una vita da re, quanta felicità, quanti campioni, quante storie che in una vita normale non avrei mai avuto, tipo essere ricevuto dal Papa o sentire Bocelli negli spogliatoi dell’Inter senza microfono».

Sembra quasi un discorso di commiato, di fine carriera. Sembra. La voglia di calcio di calcio di Spalletti se lo mangia vivo. Scandisce e scolpisce a fine collegamen­to: «Voglio tornare ad allenare il prima possibile, mi piace questo mestiere, non vedo l’ora».

Nel mezzo, una selva di riflession­i, aneddoti, ricordi. «Il covid? Il più grande infortunio di massa della storia dello sport, i giocatori costretti a fermarsi all’improvviso come per un danno muscolare...». Non ha dubbi. «Con tutti i limiti del caso, bisogna tornare a giocare, scegliendo con il cuore. La gente vuole rivedere il calcio, è un premio che gli si deve, per quanto hanno sofferto e lottato, sapendo che il calcio è uno degli strumenti più potenti per tornare alla normalità». Audio e videomessa­ggi. Tifosi qualunque e pezzi della sua storia. Ricordi dei suoi due anni all’Inter. «Il più bello? La vittoria all’Olimpico contro la Lazio nella prima stagione, il derby vinto nella seconda stagione quando tutti ci davano spacciati».

Spalletti è quello di sempre, uomo labirintic­o, lunghi anacoluti, messaggi criptici, sintesi ruvide che vanno dritte al cuore. È Minosse, Teseo e il Minotauro nella stessa persona. Un uomo sempre in guerra, soprattutt­o con se stesso. Che sta imparando a non fare la guerra contro tutto il mondo. In una carriera piena di cose grandiose, l’Inter resta il suo dente urlante, l’incidente che non accetta. Quella brutale interruzio­ne. Sottovalut­ata la sua storia all’Inter? Non ci sta. «Raggiunger­e la Champions è un risultato inferiore solo allo scudetto». E botte per destinatar­i intuibili ma mai nominati. «Mai usato le squadre per motivi personali, mai barattato obiettivi di squadra per tutelare la mia immagine. I panni sporchi? Si lavano in famiglia,

a volte se li porta nelle lavanderie a gettone». Ci pensa Walter Sabatini, in collegamen­to video. Uno spot affettuoso e sincero, il suo, a riconoscer­gli la grandezza che gli spetta, paragonand­olo al capitano Achab, il più grande ossesso della letteratur­a mondiale: «Spalletti è genio anche nella concretezz­a, gli auguro di tornare presto. I suoi colpi di genio? Tanti. Quel Nainggolan inventato trequartis­ta. Emerson Palmieri. Dopo tre giorni aveva capito che era un grande giocatore». Luciano, radioso, ricambia: «Il vero genio è lui, Walter. Se il calcio fosse un film, lui sarebbe il regista. All’inizio ci siamo annusati, poi è stata amicizia totale. Abbiamo passato notti intere al telefono a parlare di calcio e di calciatori».

Botta di nostalgia profonda per tutto ciò che è romanista all’ascolto. Due insieme come Sabatini e Spalletti, la Roma non li ha mai avuti e mai li riavrà. Le sue due Roma. Il saluto di Pizarro in video, guanti e tuta da contadino, in giro per i probabili vigneti della sua probabile tenuta cilena. «Mister, allenerai la Fiorentina?». Quella Roma, la Roma di Pizarro e De Rossi in mezzo al campo, ma anche di Perrotta inventato cursore. «Una squadra baciata dal sole di Roma. Pizarro è sempre on line, tiene sempre la squadra connessa. Un giocatore unico. La prima volta che lo vidi venirmi incontro, dissi a Gino Pozzo: “Ma che roba mi hai portato?”. Mi è bastato vederlo giocare dieci minuti per capire che giocatore è. Pizarro è come Brozovic. Voleva sempre il pallone. Un amico per tutti nello spogliatoi­o. Cantava benissimo e si scherzava sulla sua tendenza a ingrassare. Una volta si mangiò una raffica di mignon davanti a me dopo che la bilancia gli aveva dato ragione... Io e la Fiorenqual­cuno tina? La squadra viola sta in buonissime mani con Iachini». E altra stoccata, anche questa facile da aggiudicar­e, non serve lambiccars­i: «Noi allenatori dobbiamo allenare quello che ci mettono a disposizio­ne, anche per sei mesi se serve, non sempre c’è la possibilit­à di spendere duecento milioni nel mercato».

La sua seconda Roma. Una somma irripetibi­le di talenti. Salah, Nainggolan, Strootman, Manolas, Rudiger, Dzeko. «Con Dzeko puoi giocare qualunque tipo di calcio. Lui è un calciatore totale. Può fare tutto. Il suo limite è che ogni tanto si accontenta­va». Il racconto di uno scontro spassoso. «Aveva segnato due gol, ma ne aveva mancati altri due più facili. Gli dissi: “Hai giocato che sembravi un bottiglion­e di acqua minerale di due litri”. Si fece tradurre da De Rossi, venne da me col dito minaccioso: “No mister io non sono un bottiglion­e”».

Quella volta che bussò a casa di Aquilani all’una di notte. E poi l’inevitabil­e domanda su Totti. La fase uno dell’amore, quella due dello scontro. «Sono sempre stato lo stesso con Totti. Sono capitate delle cose che mi hanno indotto a comportame­nti diversi. Con Francesco ho avuto in generale un buon rapporto, ma per me conta la squadra e passo solo di lì. Il sentimento degli sportivi è davanti a tutti. Auguro a Francesco una grande carriera da manager».

Duetti con Sabatini e Pizarro: «Walter genio, David lo capii dopo 10 minuti»

«La Fiorentina?

È in buone mani con Iachini. Dzeko? Si accontenta...» «La mia Inter?

Il pass Champions è un risultato inferiore soltanto allo scudetto

E i panni sporchi si lavano in famiglia» «Con Totti sono sempre stato la stessa persona ma per me conta solo la squadra

Gli auguro una buona carriera da agente»

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Luciano Spalletti (61 anni) ha iniziato ad allenare nell’Empoli Poi ha guidato Samp, Venezia Udinese, Roma e Inter in Italia; all’estero invece è stato sulla panchina dello Zenit GETTY

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