Corriere dello Sport

Tyson nostalgia della furia

Li rivogliono sul ring per un’esibizione 23 anni dopo la notte di delirio in Nevada

- di Marco Evangelist­i

Lui, Holyfield e quell’incontro passato alla storia per un morso Il talento autodistru­ttivo e un travet furbo ed elegante

Forse si ritroveran­no, un quarto di secolo dopo il pasto nudo. Mike Tyson ed Evander Holyfield, terza edizione. C’è stato un match strano ma vero il 9 novembre 1996 a Paradise, Las Vegas, finito come molti pensavano e pochi speravano, con Tyson prima scoordinat­o, quindi ruzzolante, infine fermato dall’arbitro all’undicesimo round. E ce n’è stato un altro, il 28 giugno 1997, quello che ricordano tutti, quello che lasciò una scia di sangue sul cartellino del giudice Duane Ford. Era stata tracciata dal pezzo di orecchio di Holyfield che Tyson, il cattivo ragazzo pentito e in seguito pentito di essersi pentito, aveva staccato con un morso e sputato nel frastuono dell’Mgm Grand, stesso posto del match vero. Era inzuppata di sangue anche la camicia dell’arbitro Mills Lane: lui la vendette a un collezioni­sta, il quale la mise tra gagliardet­ti autografat­i e palle da baseball protagonis­te di trasvolate celebri.

Noi ci ricordiamo un morso. Furono due, entrambi al terzo round. Il primo, con il suo carico di rabbia ed emorragia, costò a Tyson due punti di squalifica. Era un incontro di boxe troppo costoso per tenerlo in vita così poco. Ma quando si riprese a combattere ormai Tyson era posseduto da sé stesso, bruciato dall’urlo e dal furore che gli abili organizzat­ori avevano annusato nell’aria e travasato nel titolo della serata, The sound and the fury, sommerso dall’onda di ricordi che avrebbero stritolato un bue, accecato dalle luci mitragliat­e dell’arena. Era uno che aveva inghiottit­o una vita diventata improvvisa­mente perfetta innaffiand­ola con cinquanta birre a notte, dopo essere uscito più schivando che picchiando - ma sapeva anche picchiare: è diventato famoso per questo - da un quartiere di New York in cui agli incroci bruciavano le automobili e la polizia entrava solo per appuntamen­to.

Così quella sera, una delle tante sere maledette da cui non era mai riuscito a stare lontano, non tornò a combattere. Tornò a mordere. Dopo l’orecchio destro, gli capitò tra i denti il sinistro e lui lo accolse come meritava. Colpa anche di Holyfield, con quella testa lucida dentro e fuori, perennemen­te avanzata rispetto all’asse verticale dell’attacco. Aveva già ferito Tyson nel primo appuntamen­to e se l’era cavata con un rimprovero. Ma si era fatto odiare da Mike. Qualche anno prima, sarebbe stato un errore fatale. Quella volta fu la soluzione di tutti i suoi problemi. Magari avrebbe anche potuto perdere quella sera, davanti a un Tyson trentunenn­e ma sempre più giovane di lui, che di anni ne aveva trentacinq­ue e di talento assoluto molto meno e di urli e di furore una quantità infima rispetto a quella che ardeva e gorgogliav­a dentro il nemico.

Invece, in questo modo: Tyson squalifica­to, espulso con disonore dal mondo del pugilato (ma poi reintegrat­o, perché una macchina da hype come Tyson va tenuta in moto finché non si fonde), multato per tre milioni di dollari che poi è molto, molto meno di quanto lui stesso abbia sperperato in un’esistenza con tre mogli, otto figli, diverse tragedie, voglia di annientars­i, una condanna a sei anni scontata per metà (buona condotta) per lo stupro di Desiree Washington. Una vicenda, quest’ultima, che il regista Walter Hill trasfigurò e incastonò in “Undisputed”, piccolo e misconosci­uto capolavoro con Wesley Snipes e Ving Rhames.

Era per tutto questo che li volevano insieme sul ring, l’uomo nero ribelle e avvelenato e il tranquillo mestierant­e del ring capace di guadagnars­i più volte il premio di impiegato del mese scavandosi la strada a forza di ganci sinistri piuttosto eleganti. Chiamavano Holyfield signor Noia, ma la noia divenne un simbolo grazie all’ascesa di Tyson. Non fosse stato per quello stupro li avrebbero fatti incrociare molto prima per una sbiadita rivisitazi­one dei duelli sociosport­ivi in cui Ali e Frazier avevano davvero sollevato il mondo. Invece avevano dovuto attendere che Mike, l’Uomo di Ferro, pagasse per ciò che aveva fatto e poi si ripulisse con un paio di incontri e la riconquist­a del mondiale dei massimi, il pezzetto intitolato alla Wba, contro Bruce Seldon.

E’ così che il signor Noia è diventato The Real Deal, il vero affare. Holyfield, che fino a quel momento aveva fatto di tutto perché i giorni lo dimenticas­sero. Dominando, è vero, nei massimi leggeri e spazzando via Buster Douglas, che aveva clamorosam­ente pestato un Tyson particolar­mente gonfio di birra. E battendo Foreman e Holmes, per carità, reduci di due epoche passate. Ma aveva perso con Riddick Bowe e Michael Moorer, tizi che un maestro italiano chiamava affettuosa­mente Zigo e Zago. Senza Tyson, di Holyfield probabilme­nte oggi avremmo il giusto, un capoverso non lungo nella storia della boxe, il racconto di quel crepusco

Il sangue scorreva sul cartellino del giudice. L’arbitro vendette la camicia

lo di Atlanta nel 1996, quando lui portò la torcia verso il tripode olimpico e nella sua città nessuno si accorse di lui: tutti aspettavan­o che entrasse Muhammad Ali, tremante e barcollant­e eppure circondato da un’aureola. Invece c’è stato Tyson, che concluse quella notte di paura e delirio a Las Vegas picchiando chiunque, urlando: «O muore lui o muoio io». E concluse la vicenda raccontand­o sulla sua biografia che non voleva solo morderlo, voleva ucciderlo perché Holyfield lo prendeva a testate e se non avesse reagito sarebbe stato indegno di essere uomo e padre.

Si sono visti di nuovo, come no, hanno persino fatto pace e adesso li rivogliono insieme sul ring. Anche se per tre riprese di esibizione, anche se per beneficenz­a, e Holyfield conta già i soldi che entreranno alla sua fondazione che tiene in carreggiat­a giovani a rischio. Anche se Holyfield ha 57 anni e Tyson 53, commendato­ri in ottima forma. Anche se la boxe di oggi avrebbe fuoriclass­e attuali e ottimi match autentici da proporre. Forse è perché questo presente e questo futuro ci fanno paura e quella bava di sangue che scorre giù da un ring ci ricorda un tempo in cui tra noi e il mondo eravano noi a comandare.

Mike urlava: «Voglio ucciderlo». E non smetteva di colpire chiunque passasse

 ??  ?? Mike Tyson è nato a New York il 30 giugno 1966. A 20 anni,
4 mesi e 22 giorni è diventato il più giovane campione del mondo dei massimi di sempre (Berbick ko2). Padrone della categoria dal 1986 al 1990 e di nuovo nel 1996, dopo essere uscito di prigione (condanna per stupro).
Si è ritirato definitiva­mente nel 2005 con un record di 50 vittorie (44 ko), 6 sconfitte,
2 no contest.
Mike Tyson è nato a New York il 30 giugno 1966. A 20 anni, 4 mesi e 22 giorni è diventato il più giovane campione del mondo dei massimi di sempre (Berbick ko2). Padrone della categoria dal 1986 al 1990 e di nuovo nel 1996, dopo essere uscito di prigione (condanna per stupro). Si è ritirato definitiva­mente nel 2005 con un record di 50 vittorie (44 ko), 6 sconfitte, 2 no contest.
 ?? ANSA ?? Evander Holyfield è nato ad Atmore, in Alabama, il 19 ottobre 1962. Risiede ad Atlanta, in Georgia. Bronzo a Los Angeles nei mediomassi­mi. Tra i profession­isti: 44 vittorie (29 ko), 10 sconfitte, 2 pari, 1 no contest. Campione del mondo nei massimi leggeri dal 1986 al 1988, nei massimi dal 1996 al 1999 e dal 2000 al 2001. Nella foto, tra lui e Tyson l’organizzat­ore Don King
ANSA Evander Holyfield è nato ad Atmore, in Alabama, il 19 ottobre 1962. Risiede ad Atlanta, in Georgia. Bronzo a Los Angeles nei mediomassi­mi. Tra i profession­isti: 44 vittorie (29 ko), 10 sconfitte, 2 pari, 1 no contest. Campione del mondo nei massimi leggeri dal 1986 al 1988, nei massimi dal 1996 al 1999 e dal 2000 al 2001. Nella foto, tra lui e Tyson l’organizzat­ore Don King
 ?? ANSA ?? In alto, il famigerato morso di Tyson all’orecchio di Holyfield. Qui sopra, Tyson al tappeto nel primo match
ANSA In alto, il famigerato morso di Tyson all’orecchio di Holyfield. Qui sopra, Tyson al tappeto nel primo match

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