Corriere dello Sport

Al via anche i musei mancano gli studenti

Senza studenti e turisti la vita arriva dai negozietti e dalla musica

- di Giorgio Burreddu

Altro che città universita­ria. Se ti affacci su via Zamboni non vedi niente, di studenti neanche l'ombra. Solo spazi vuoti e portoni chiusi, quelli imponenti dell’università più antica del mondo che ancora aspettano una fase buona anche per loro. Ma almeno hanno rimesso l’Opera dagli altoparlan­ti del Teatro Comunale, in questi giorni passa a ripetizion­e la Cenerentol­a di Rossini e il vuoto finisce per essere un po’ meno crudele.

Per capire la riapertura bisogna spostarsi qualche passo più su, arrivare quasi sotto le Torri, in Piazza di Porta Ravegnana, con la libreria, il panettiere, il negozio di cianfrusag­lie, lì c’è già movimento, le persone scivolano a distanza tra i locali, i negozietti, i bar. Si può fare la spesa nel quadrilate­ro: mortadella e tortellini, tagliatell­e e ragù, venivano da tutto il mondo a comprarli proprio qui. Giancarlo, che è di Senigallia ma a Bologna ci sta dal ’97, sta sistemando le ultime cose al suo chiosco: «Ho aperto, sì. Niente buffet, i tavoli li dimezzo. Faccio solo il pomeriggio, mattina niente. Turisti zero, studenti pochi: cosa vuoi fare?». Lui è uno di quelli che non ha studiato grandi soluzioni alternativ­e, «ho aperto e basta: vediamo come va». L’altra sera la chat sul suo telefonino fibrillava: l’hanno creata in centocinqu­anta esercenti tra ristoranti e locali per scambiarsi idee, impression­i, «e per darci un sostegno in questa giornata» che è come il primo giorno di scuola.

La vera riapertura di Bologna è però sotto i portici. Renzo Renzi, l’amico di Fellini, l'uomo che inventò l’editoria sul cinema, li definì «un patrimonio della comunità: una parte della casa regalata ai concittadi­ni». Lì sotto ci si sente tutti un po’ più sicuri, un po’ più liberi. E’ lì sotto che il brulichio si è fatto più intenso, più vivace. Le persone si incontrano, quando si riconoscon­o sotto le mascherine si salutano con lo stupore di chi non si vede da una vita. L’altra vita, quella prima del virus. Molti si concedono un caffè al tavolino, e magari seduti. Un piacere semplice al punto da essere diventato un lusso. E sono rispuntati anche gli artisti di strada, quelli come Beppe con la chitarra o come Carlo, che suona il sax e non gli sembra vero di essere all’aria aperta.

Gli artisti, ma anche i musei. Oggi ripartiran­no in due: il MamBo e il Museo della Musica. Da qui a domenica altri sette riaprirann­o i battenti. Hanno pensato a tutto: le prenotazio­ni on-line e gli slot a tempo per ingressi razionati, controllat­i, contingent­ati. La cultura a tempo, la fede a tempo. A San Pietro, la cattedrale della città su via Indipenden­za, c’è un flusso continuo, infinito, un moto perpetuo di religiosit­à. La gente entra, va a trovare la Madonna di San Luca che hanno portato giù dal colle. Cinque minuti di preghiere prima di lasciare il posto al prossimo. I bolognesi la invocarono anche nel 1630, dopo che la peste si era portata via più di un terzo della città, oltre 24mila morti. La Madonna esaudì le preghiere, fece piovere, l'acqua lavò via il contagio, e tutto tornò come prima.

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ANSA La cattedrale di San Pietro su via Indipenden­za a Bologna

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