Sticchi Damiani: Il calcio ha bisogno di ripartire Non ci sono alternative
Il presidente del club pugliese in prima linea «Per il Lecce lo stop definitivo non sarebbe un dramma, ma serve una scelta di responsabilità verso il sistema di cui facciamo parte»
SaverioSticchiDamiani,presidentedelLecce:72°giorno senza calcio in Serie A. Ci si abitua? «Il paradosso è che ormai ci siamo abituati a tutto. Persino a questa incertezza che ci consuma giorno dopo giorno. All’inizio ogni notizia creava emozioni, devo dire la verità, oggi meno. E’ un’attesa che si dilunga all’infinito, facciamo fatica a indovinarne la fine».
La sua società di calcio come vive questa attesa?
«Ne parlavo in questi giorni con i miei collaboratori, mi sono accorto che abbiamo raggiunto un equilibrio nell’incertezza, e non è affatto un bene, mi creda. Quello che ho capito è che dobbiamo trovare la forza e l’energia dentro di noi, come individui e come gruppo che lavora insieme».
CosastafacendoilLeccepermantenersi vivo?
«Ai giocatori abbiamo detto di provare a stare bene, per loro stessi e per rispetto della società. Cerchiamo di tenere vive le attività del club. Ci impegniamo nel sociale, promuoviamo iniziative benefiche e di solidarietà, lavoriamo per rafforzare l’identità nel territorio, comunichiamo con i tifosi: credo sia l’unico modo per alimentare - e non certo da un punto di vista finanziario - un’azienda che senza il gioco perde inevitabilmente appeal».
I suoi tifosi cosa le dicono?
«E’ strano, ma avvertono già la nostalgia quasi per il campionato meraviglioso che stavamo provando a concludere centrando la salvezza. A prescindere dall’epilogo, c’è il rammarico per una stagione che aveva divertito la piazza, la nostra gente aveva sposato il progetto, portavamo allo stadio 30.000 persone, in trasferta si muovevano anche 5.000 leccesi. In realtà tutti sanno che non sarà facile ritrovare l’entusiasmo di prima».
Questo l’avete messo in conto. «Sì, perché questo stallo inevitabilmente allontana la gente dal calcio e da noi. Anche se si dovesse partire, sarà tutto molto faticoso».
I giocatori come vivono questo stallo?
«Devo dire che hanno patito il periodo di isolamento anche psicologicamente. Soprattutto quelli che sono rimasti qui a Lecce senza le famiglie ne sono usciti provati. La riapertura degli allenamenti è un ritorno alla normalità e ha portato i primi benefici. I compagni più esperti stanno coinvolgendo chi è rimasto solo anche fuori dal campo, e questo lo apprezzo molto».
E lei come ha trascorso questi due mesi?
«Il calcio è il mio lavoro, non mi sono mai fermato. Ho vissuto una quotidianità molto operativa. Con l’emergenza Coronavirus sono usciti di scena i giocatori e - nostro malgrado - siamo entrati in scena noi presidenti e dirigenti. Ma la scena è dei giocatori, sono loro i protagonisti».
E’ fiducioso sulla ripresa del campionato?
«Guardi, tutti abbiamo la sensazione che concludere il campionato dopo tre mesi di stop sarà una forzatura sul piano sportivo e su quello della regolarità stessa del torneo. Ma noi stiamo vivendo questo momento come una scelta di responsabilità, perché il sistema ha bisogno di ripartire. Mancherà la parte ludica del calcio, ma non ci sono alternative».
Ripartireèunanecessitàfisiologica per tutto il sistema-calcio italiano. «Voglio essere chiaro: per noi del Lecce un eventuale stop del campionato sarebbe certamente un problema, ma non un dramma. E questo perché abbiamo sempre avuto una gestione molto curata, i bilanci in ordine, non abbiamo debiti. Quel che voglio dire è che il Lecce non ha necessità di trarre linfa senza la quale non vivrebbe. Ma il discorso è diverso. E’ una questione di responsabilità nei confronti di un sistema di cui facciamo parte, per questo dico che il sistema italiano deve ripartire».
QuantepersonelavoranonelLecce? «Tra calciatori della prima squadra, staff, parte tecnica, amministrativa e collaboratori siamo circa un centinaio. Ovviamente senza contare i ragazzi delle giovanili».
Avete ragionato sul taglio agli stipendi?
«Il mio sogno, anzi, no, meglio: la mia aspettativa è quella che si trovi un accordo collettivo con tutta la squadra. Accordo che magari sia strutturato rispetto a vari scenari, come lo stop o la prosecuzione del campionato e sia collegato al raggiungimento dei risultati sportivi«.
Qualèstatalareazionedeicalciatori? «Sono molto responsabili, confido di trovare presto una quadra valida per tutti, un’intesa che tuteli le figure più deboli, come magazzinieri e fisioterapisti: ecco, a loro non vogliamo chiedere sacrifici. Se raggiungiamo questo accordo penso sia davvero un bel risultato. Che comunque non arriva per caso, ma è figlio di rapporti personali che sono stati costruiti in questi anni».
Presidente, a lei cosa manca di più? Intendo dire: del calcio giocato, se chiude gli occhi a cosa pensa?
«Sa cosa mi manca? Il fermento che si respira a Lecce prima di ogni partita, quell’adrenalina che si avverte nelle piazze, la gente che per strada non parla d’altro, le chiacchiere nei bar, le aspettative, la fiducia, i calcoli dei tifosi quando pensano: se vinciamo saliamo a tot punti, il traffico che si ingrossa procedendo verso lo stadio, quei minuti in cui ci si avvicina al fischio d’inizio, quel senso di comunità che il calcio riesce a creare».
«Purtroppo abbiamo raggiunto un equilibrio nell’incertezza Mi manca quel fermento prima di ogni partita»