Magath: «Trap nella trappola, noi in cielo»
Una tazza di the alla camomilla per distendere i nervi. Felix Magath la sorseggia e si concentra sulle poche parole del maestro austriaco. Ernst Happel preferisce fare parlare i fedelissimi. Ha raccolto intorno ad un tavolino dell’albergo con Magath anche il portiere Uli Stein, i difensori Ditmar Jakobs e Manni Kaltz, l’ariete Horst Hrubesch. Domani è il 25 maggio 1983 e l’Amburgo cerca l’impresa impossibile nella finale di Coppa Campioni ad Atene contro la Juventus dei campioni del mondo Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli e Rossi. Ai nazionali Kaltz e Hrubesch fa ancora male il ricordo della finale mondiali persa un anno prima a Madrid con gli azzurri di Bearzot. «Discutevamo la nostra formazione, la tattica, gli avversari più pericolosi – racconta adesso Magath a Sport-Bild con cura di particolari – Happel ascoltava e fumava un sigaretta dopo l’altra. Faceva sempre così. Sigarette pesanti, marca „Belga“senza filtro. Da lui ho imparato che non servono lunghi discorsi per motivare il gruppo. L’importante era trasmettere una sensazione di normalità, di fiducia nelle proprie forze».
Sono ormai passati 37 anni dalla leggendaria notte nello stadio Louis Spiros e il mattatore della Juventus se la gusta come fosse ieri: «Atene, mon amour». Rimpatriato da un intermezzo biennale in Cina, Magath è diventato il supervisore dell'Admira Wacker in Austria e dei Würzburger Kickers in Germania. Il suo racconto svela il trucco viennese contro Trapattoni: «Happel ci aveva insegnato a fare possesso palla e pressare alto. Avevamo un record di 36 partite senza sconfitte. La difesa era un muro. Ci fece parlare tutti. Il suo piano era che dovevamo muoverci „avanti e indietro“come ombre dei nostri avversari, con l’ordine al danese Lars Bastrup di svariare spesso dall’ala sinistra all’estrema destra». Fu la mossa vincente che sguarnì la difesa di Trapattoni aprendo il varco per il mancino chirurgico di Magath. «La Juventus difendeva a uomo. Bastrup trascinò Gentile fuori zona, aprendo lo spazio in attacco sul centrosinistra per Wehmeyer e per me». Amnesia fatale sulla lavagna di Giovanni Trapattoni. «Fu la chiave del nostro successo per 1-0. Eravamo arrivati ad Atene infuriati per gli sfottò contro di noi dei giornali italiani. Fin dall’inizio mi piazzai sulla trequarti a 30 metri da Zoff. Così è arrivato il mio gol. Ho avuto la palla da destra. Tardelli tentò invano di ostacolarmi con un salto, lo aggirai e avanzai due passi indovinando il tiro gol che al giorno d’oggi sarebbe un numero pazzesco su Instagram». Una prodezza balistica, ma era appena il 9’ del primo tempo, mancava troppo al 90° per non temere la reazione della Juventus: «Ero strafelice, però il primo pensiero fu: maledizione, questo gol è arrivato troppo presto, sarebbe stato meglio verso la fine. Adesso la pressione juventina sarà tremenda. Invece il gol inaspettato li aveva disorientati. Non ci siamo fatti impressionare, anzi siamo andati vicini al raddoppio. Jakobs cancellò lo spauracchio Paolo Rossi, tanto che fu l’unico juventino sostituito». Da Marocchino, all‘11’della ripresa. La “alte Dame” (Vecchia Signora) era sbarcata ad Atene da grande favorita, con l’attesissimo Michel Platini a caccia della prima Coppa Campioni bianconera. «Il controllo di Platini da parte di Wolfgang Rolff fu un successo. Il francese si attendeva una marcatura a uomo, ma naturalmente non era la tattica di Happel. Rolff andava ad attaccarlo solo quando entrava nella nostra metà campo. Nell’intervallo, anziché congratularsi per il gol, Happel mi rimproverò perché correvo troppo e rischiavo di non avere più fiato».
«Tatticamente disorientammo la Juve. Così la Coppa andò all’Amburgo»