IL DOSSIER STADI IGNORATO DAL MINISTRO
Un piano rivoluzionario è stato presentato dalla Lega, ma Spadafora glissa ed evita che l’Italia adotti il modello inglese e si garantisca un futuro anche dal punto di vista economico
Cinque pagine di testo, seguite da tabelle e infografiche, racchiuse in una copertina azzurra con il logo Serie A. L’aveva presentata il presidente, Paolo Dal Pino, in teleconferenza con il ministro dello Sport due settimane fa, ma Vincenzo Spadafora non l’ha presa in considerazione, racconta chi è a conoscenza dell’episodio.
Un piano strategico da 2,5 miliardi che vale 50.000 posti di lavoro
Dodici le società interessate al dossier presentato da Dal Pino (Inter Milan, Roma, Napoli, Fiorentina, Cagliari, Bologna, Parma, Genoa Samp, Atalanta e Brescia): contiene un raffronto tra sistema italiano e Inghilterra, Germania, Spagna e Francia. Investimenti per miliardi che significano lavoro, economia e infrastrutture adeguate. Eppure…
Cinque pagine di testo, seguite da tabelle e infografiche, racchiuse in una copertina azzurra con il logo Serie A. L’aveva presentata il presidente, Paolo Dal Pino, in teleconferenza con il ministro dello Sport due settimane fa, ma Vincenzo Spadafora non l’ha presa in considerazione, racconta chi è a conoscenza dell’episodio. Non era una «priorità». C’era da discutere la ripresa del campionato.
Eppure in quel fascicolo potrebbe essere racchiusa la via d’uscita per evitare che il calcio vada in bancarotta, affondata dai mancati ricavi legati alla pandemia globale. Quei fogli varrebbero circa 2,5 miliardi di euro di investimenti e cinquantamila posti di lavoro, racchiusi in quattro punti chiave di una nuova legge sugli stadi che sblocchi i lavori in dodici città, metta in circolo soldi freschi e trasformi la Serie A in una specie di nuova Premier. Il vecchio limite del nostro calcio, le strutture fatiscenti, potrebbe diventare un’opportunità in tempi di crisi pandemica: Germania e Inghilterra hanno già stadi moderni, l’Italia costruirebbe quelli di ultima generazione. Il documento è stato preparato dai legali dello studio Chiomenti e dall’avvocato Giulio Napolitano e contiene una proposta di modifica all’attuale legge sugli stadi. Il dossier nasce dallo studio di decine di avvocati, costituzionalisti e tecnici, seguito dalla task force di impronta americana, guidata dal braccio destro di Rocco Commisso, Joe Barone, e che vede, tra le altre, dodici società interessate al progetto: Inter, Milan, Roma, Napoli, Fiorentina, Cagliari, Bologna, Parma, Genoa, Samp, Atalanta e Brescia.
Il testo è diviso in due parti: la prima è dedicata ai nuovi stadi, la seconda al restyling di quelli esistenti. La nuova legge, dicono i promotori, aprirebbe la possibilità a tutte le società, di ogni campionato, di intervenire con tempi rapidi e costi certi. La legge numero 147, del 23 dicembre 2013, doveva rappresentare la svolta. Il suo ideatore, Dario Nardella, l’aveva salutata con entusiasmo: «Adesso i presidenti non avranno scuse, in un anno i club potranno avere uno stadio nuovo». Non è andata così. Sette anni dopo, il 5 maggio, Nardella l’ha riconosciuto: «La burocrazia opprime gli imprenditori e i sindaci - ha detto - o si semplificano le regole o non ripartiamo». Secondo il Cipe, Comitato interministeriale per la programmazione economica, servono in media cinque anni per realizzare un’opera pubblica, ma per quelle che superano i 100 milioni di valore i tempi si allungano a 15 anni e 8 mesi. In Italia pensare in grande resta un atto eversivo.
I concetti chiave della nuova legge sono quattro: «negoziare liberamente», «analisi costi benefici», «codice Beni culturali», «organi utili». I presidenti chiedono la possibilità di «procedere all’affidamento diretto dei lavori», dando alle società il diritto di trattare in prima persona. Inoltre invitano a «premiare e non a criminalizzare» i funzionari pubblici che «si assumono la responsabilità di rilasciare i permessi e realizzare le opere tempestivamente».
L’obiettivo è snellire le procedure, ridurre i passaggi, puntando a «trasferire liberamente» la proprietà delle aree pubbliche destinate alla realizzazione di impianti sportivi. Alla voce costi, chiedono «esoneri o riduzione imposte immobiliari», così come sgravi fiscali e diritti di usufrutto dell’area.
In tema restyling, il modello è quello yankee del «presto e bene». Ma siamo in Italia, non in America dove la terra è sconfinata e ci sono stati dove vivono più mucche che persone. La storia impone più vincoli, ma gli imprenditori chiedono di «rivedere» il rapporto tra «esigenze di conservazione» e «tutela del valore culturale degli impianti sportivi esistenti». Il primo pensiero va al restyling del Franchi di Firenze, bloccato dalla Sovrintendenza
per non abbattere le scale elicoidali delle curve, monumento architettonico fatiscente da anni. In realtà, il tema coinvolge altre società: Bologna, Parma, Samp, Genoa e Brescia pensano a modernizzare i loro impianti, mentre l’Atalanta, dopo aver rinnovato il suo, vorrebbe aggiungere aree commerciali. Il Cagliari, caso unico, ha avuto via libera dal Comune e firmato un accordo con l’archistar italoamericano David Manica per costruire un nuovo stadio techno, con dentro anche l’hotel. Là dove si tocca la storia, i presidenti chiedono un «diverso dialogo» con i Beni Culturali e meno diffidenza. La nuova legge, spiegano, non è pensata come un «libera tutti», perché prevede il rispetto delle norme, ma punta a snellire le procedure e a ridurre gli attori in campo. Uno dei «pantani burocratici» è la mitologica Conferenza dei Servizi, che spesso vede allo stesso tavolo fino a sedici-diciassette persone, ognuna con una propria idea.
Il dossier contiene un raffronto tra sistema italiano e Inghilterra, Germania, Spagna e Francia. L’Italia, naturalmente, è quella con più vincoli, più soggetti coinvolti, meno diffusione di impianti privati, ed è l’unica che prevede una normativa specifica sugli stadi. In Spagna, per esempio, è tutto regolato da un Codice tecnico edilizio. In Germania decide l’autorità federale, o statale. In Italia, intervengono in prima battuta Comune, Regione, Consiglio dei ministri e Consiglio superiore dei lavori pubblici, e sono previsti sette passaggi, contro i due del modello tedesco e i quattro di quello spagnolo. Si cita l’esempio dell’Ajax, che ha costruito uno stadio in un quartiere abbandonato, facendolo diventare un polo turistico. A Londra, aggiungiamo noi, il Fulham sta ristrutturando il vecchio e glorioso Craven Cottage, trasformando un’ala dello stadio in una struttura moderna con vetrate che si affaccia sul Tamigi. Ristoranti, alberghi, palestre, spa, oltre a un pontile per permettere ai tifosi di arrivare via traghetto. L’idea è vendere un’«esperienza». In Italia sarebbe impossibile: lo scontro è tra chi parla di costruzioni “greenfield”, cioè nuove, e “brownfield”, ristrutturate, e chi risponde con le parole “vincoli”, “burocrazia”, “partiti”.
Ma con la pandemia e la recessione il quadro è mutato. Secondo Deutsche Bank, che ha analizzato l’impatto della crisi sui bilanci dei primi venti club d’Europa, il calcio potrebbe perdere fino a 7 miliardi di euro di ricavi in due stagioni, tra mancati diritti tv, sponsorizzazioni e azzeramento degli spettatori. Le perdite della Juve, dotata di uno stadio privato che ha già dieci anni, potrebbero variare da un minimo di 80, nell’ipotesi migliore, a un massimo di 365 milioni; l’Inter, da 65 a 280: la Roma da 35 a 160, il Napoli da 30 a 130. Il calcio italiano,aggrappato pigramente ai diritti tv, rischia di pagare un prezzo più alto rispetto alle altre grandi leghe, dotate di strutture moderne e organizzazione. Il crollo dei ricavi potrebbe toccare punte del 30 per cento. Il Real Madrid, che avrà un Bernabeu
spaziale, può perdere oltre 200 milioni di ricavi, ma parte da una base di 751 milioni,secondo lo studio Deloitte del 2019. Il Barcellona è a quasi 700, il Manchester United supera i 650. Juventus, Inter, Milan, Roma, davanti a un crollo di ricavi, si allontanerebbero ancora di più dalle prime. Nella logica finanziaria, le dimensioni del fatturato fanno la differenza. C’è maggiore “distanza” tra un club con 200 milioni di ricavi e uno con 80, rispetto a uno con 700 e un altro con 580. I progetti di nuovi stadi a Milano, Firenze, Roma, Napoli e Cagliari, oltre a muovere l’economia e dare lavoro, produrrebbero una spinta a tutto il sistema, rendendo il brand Serie A più forte. E, probabilmente, attirando nuovi investitori. Per loro, questa «nuova legge» rappresenta un punto di svolta, una rivoluzione culturale, ma hanno trovato un muro. Mentre il ministro pensa a stadi vuoti, i presidenti pensano a stadi nuovi. Per questo, alla fine, il dossier è stato riposto nel cassetto.
Architetture fatiscenti protette dai vincoli posti dalle Sovrintendenze