Troppi vincoli i big disertano gli Us Open?
Presenze ridotte: i dubbi di Nadal e Djokovic. Ma gli altri approvano
Il titolo è semplice: 2020, fuga da New York. La USTA, la federazione statunitense, vuole, anzi, fortissimamente vuole organizzare anche quest’anno gli Us Open al Billie Jean King National Tennis Center di Flushing Meadows, che ne è la sede dal 1978. La pandemia è una minaccia seria, considerato che la Grande Mela è stata la città più colpita dal Covid-19 - tanto che proprio l’impianto di Flushing per qualche settimana è stato trasformato in un ospedale - e che la situazione è ancora tutt’altro che risolta. Per tentare comunque di salvare un evento che incassa oltre 300 milioni di dollari, foraggiando la stessa Usta e, a cascata, molti dei programmi tennistici del paese, si sta pensando di allestire una sorta di ‘bolla’ tennistica che copra non solo le due settimane degli Us Open (31 agosto-13 settembre), ma anche quella del Masters 1000 di Cincinnati, per la parte maschiile sempre di proprietà della federazione e in calendario a metà agosto (dal 17 al 23).
L’idea insomma è di copiare la Nba, che ha deciso di scegliere come sede Orlando come sede unica della stagione. Il problema sono le regole che governerebbero la vita della bolla - qualcuno ha già pensato di ribattezzare il torneo ‘Lager Flushing’ - e che non vanno troppo a genio ai top player.
«Le regole che dovremmo rispettare sono decisamente estreme», ha storto la bocca Djokovic, il numero 1 del mondo. «Non potremmo spostarci a Manhattan (Flushing Meadows è nel quartiere del Queens, ndr), dovremmo dormire negli hotel accanto all’aeroporto e ci sarebbero per tutti due o tre test la settimana. Inoltre ci sarebbe consentito di portare solo una persona con noi, e questo è veramente impossibile. Voglio dire, ciascuno di noi ha bisogno del suo coach, di un preparatore fisico e di un fisioterapista. Capisco bene che ci sono ragioni economiche ma così mi sembra tutto molto complicato».
Il torneo si disputerebbe a porte chiuse, o con un pubblico contingentato, senza stampa, solo con gli operatori tv per riprendere i match, con un numero limitato di giudici di linea e arbitri di sedia (se non senza del tutto), palline ‘personalizzate’ e raccattpalle con guanti e maschera (o niente racattapalle).
«Oggi come oggi non parteciperei», ha fatto sapere il campione uscente Rafa Nadal. «In due mesi possono cambiare tante cose, vedremo, ma per me non ha senso ripartire fino a quando la situazione non sarà sicura al 100 per cento per tutti».
Federer, alle prese con una convalescenza più complicata del previsto dopo l’operazione al ginocchio, per ora tace. Ma abituato come è a viaggiare con una carovona di lusso composta di moglie, quattro figli, baby sitter, genitori, due coach, preparatore fisico, difficilmente la prenderà bene (o magari sì, ma non approfondiamo).
Domani è previsto un meeting virtuale fra Atp e giocatori, intorno al 15 dovrebbe arrivare un annuncio definitivo. Di certo non aiuta nemmeno il clima sociale bollente negli Usa seguito all’omicidio di George Floyd.
Non tutti sentono il bisogno che arrivi uno Jena Pliskin del tennis a liberarli dalla bolla - doratissima: con un primo turno si guadagnano 58 mila dollari - degli Us Open edizione pandemia. «Non tutti viaggiano con il fisio e i preparatore come Novak», ha fatto puntualizzato Daniel Evans. «I suoi argomenti non sono validi per il resto dei giocatori a parte i top player. La salute ovviamente è importante, ma se la sicurezza è okay non credo che doversi limitare ad avere solo il coach sia una ragione sufficiente per non giocare un torneo. E’ stato grande quello che l’Atp ha fatto con il fondo a favore dei giocatori meno ricchi, ma la cosa migliore sarebbe poter ricevere il montepremi degli Slam».
Domani meeting (virtuale) tra Atp e giocatori: per il 15 la scelta definitiva