INSIGNE PRENOTA IL GIRO DA SOGNO
Lorenzo ha un appuntamento speciale con Messi al Camp Nou: servirà uno show da Champions
Equando segni un gol così, come lo sogni da sempre, di notte e di giorno, rigirandoti nelle lenzuola, sia tu bambino o anche (quasi) trentenne, che ti metti da solo «la pulce nell’orecchio». E in quell’istante in cui il tuo dodicesimo «tiroaggiro» finisce proprio all’incrocio dei pali e il silenzio glaciale del San Paolo pare trasformarsi in un’eco torrido che è lecito lasciarsi andare, pure perché stavolta è un gol che pesa, vale il 2-1 sulla Roma. E’ contando i giorni che separano dalla «madre di tutte le partite» - ora anche questa, sì - che uno scugnizzo può lecitamente stropicciarsi gli occhi e pensare che niente sia impossibile, manco avvicinarsi a uno dei più grandi contemporanei del calcio e lasciarlo, anche fisicamente, alle spalle di Sua Maestà, ch’è Diego Armando Maradona. «Non scherziamo». L’avrà detto qualche centinaia di volte, e certo non ha bisogno di ripeterlo, c’è un Dio del football e poi ci sono i fuoriclasse, che rientrano nella categoria degli umani: però Messi no, lui con Ronaldo, forse stanno nel limbo, appena dietro el niño de oro, ma avanti a quell‘universo che poi resta a scrutar le stelle.
SILENZIO D’ORO. È finita proprio così, come se l’è disegnata per l’eternità, da quando ha cominciato a pensare che anche a Napoli, nel suo piccolo, ci sarebbe stato un Pinturicchio del Terzo Millennio: ha preso il pallone, l’ha sistemato nel bel mezzo dei propri pensieri, ha osservato la porta, ha notato la posizione di Pau Lopez, ha capito che glielo avrebbero concesso e poi, puf, collo-interno di destro, una carezza mica uno schiaffo, con la parabola che va arcuandosi e s’adagia proprio lì. Ne ha sentito di sbuffi, in epoche non sospette, quel chiacchiericcio d’una parte d’uno stadio che un po’ ci crede e parecchio no: mentre stavolta Insigne, lo scugnizzo, se ne è stato solo con se stesso, s’è preso il rischio che i «geniacci»» sanno governare ed ha lasciato che la fantasia cominciasse a cavalcare sino al Campo Nou. Mancano «appena» trentadue giorni, per avvicinarsi a Messi, osservalo ancora e di nuovo da vicino, tentare di schiodarlo da quell’indiscutibile
Decimo gol stagionale
Contro la Roma, Lorenzo Insigne ha segnato la sua decima rete stagionale (settima in campionato) posizione di privilegio che gode in virtù del suo talento.
VEDE DOPPIO. Pure quella è un’amabile ossessione, si sa, però fondata sulla padronanza calcistica di un uomo ch’è uscito dagli equivoci, ha sopportato (eccome) qualsiasi libera interpretazione di questo mondo che soprattutto sui social non fa sconti a nessuno, ci ha messo la faccia, ha scavato nella propria sensibilità, si è offerto al prossimo, ma è anche divenuto un leader: dieci reti, «l’altro» tormento, per andare in doppia cifra (sette in campionato, gli altri tre sparsi) e una certa confidenza con le grandi (gol alla Lazio, alla Juventus, alla Roma, assist spaziale contro l’Inter) che induce a pruriti. Provarci ancora, sempre, e anche al «Camp Nou», con il «tiroaggiro» o anche no, magari con una «marachella» come quella del «Santiago Bernabeu», quando da trenta metri zittì per un po’ il Real; o semmai in stile Parco dei Principi, con il «cucchiaio»; oppure come contro il Borussia Dortmund, e quella volta ci mise la «punizioneagiro»; altrimenti c’è il tap-in contro il Liverpool o il piatto destro contro il City di Pep Guardiola. Ci sarà modo per pensarci, senza però starsene lì a studiare troppo, cosa scegliere, nel caso in cui gli capitasse la possibilità di avvicinarsi in qualche modo a Lisbona, per vedere da dentro l’effetto che fa una final-eight di Champions League. Si è messo la pulce nell’orecchio. E poi questa è una favola da vivere: sembra quasi il principe azzurro.