Corriere dello Sport

«NON SAPEVO NUOTARE HOIMPARATO­AVOLARE»

«Avevo paura dell’acqua» Quando la Fgs Frankfurt lo fa sbarcare a Messina finisce la sua avventura lungo il deserto e il mare e ne comincia un’altra: bellissima come tutti vorrebbero sognare Dalla prima tappa presso uno zio in Senegal alla Sicilia: una cr

- Di Giorgio Burreddu

Alla fine del viaggio lui dice: «Ho paura». Musa non sa nuotare. L’altro lo guarda, sorride, la costa non è distante, e gli dice di stare tranquillo, glielo dice come si direbbe a un fratello, a qualcuno che si vuole proteggere. Musa Juwara ha quattordic­i anni e quando scende dalla Fgs Frankfurt, la ong tedesca, insieme agli altri 536 migranti come lui, profughi come lui, il porto di Messina è l’inizio della sua vita nuova. Quella del calcio, della Serie A, del gol all’Inter che ha strappato un sorriso persino al più duro dei duri, a Sinisa Mihajlovic, oggi è la vita di Juwara, e la conosciamo tutti. Ma non è vero che basta un attimo per cambiarsi la vita, a volte ci vuole di più. Juwara lo sa. E’ novembre, anno 2015, da Tujereng partono in quaranta. Musa è uno dei più piccoli. Il villaggio della Gambia dove gioca per strada con i piedi scalzi e la polvere è un posto troppo striminzit­o, troppo ristretto, i sogni mica ci stanno tutti tra quei vicoli, tra quelle stradine, bisogna andarseli a cercare altrove, da un’altra parte. Lui dice che vuole andare via, vuole andare a trovare fortuna. La prima tappa Musa la fa in Senegal, con uno zio ad attenderlo solo per dirgli di stare attento, la strada è ancora lunga, lunghissim­a. E’ un percorso di sette mesi quello aspetta Juwara e tutti gli altri attraverso il Burkina Faso, il Niger, il Mali, per arrivare in Libia e sperare di prendere un barcone nei giorni successivi. L’occasione arriva presto.

VIAGGIO. Ma il viaggio per arrivare fin lì è feroce, violento. Giorni in cui le energie sono poche, altri in cui è dura proseguire. Non ce la faccio più, dice. Lui e tutti gli altri si aggrappano a mezzi di fortuna, ai camion sgangherat­i che passano tirando su quintali di polvere, e poi le carovane, anche qualche automobile. Quando Musa arriva in Libia la paura comincia a essere più forte. Dice di non saper nuotare e il mare è un posto pericoloso, troppo pericoloso per passarci ore senza vedere altro che acqua, acqua, acqua. Negli ultimi diciotto anni dalla Gambia sono arrivati in 40.000, qualcuno non ce l’ha fatta. Più che scappare è un inseguire. I propri sogni, le aspirazion­i. Magari il talento. Musa ha inseguito il suo. «Questa è una storia di riscatto - dice Francesco Cristina, console del paese africano da oltre vent’anni -, il calcio nella Gambia è seguito tantissimo. Me ne sono appassiona­to anche io nel 2011: una nazionale giovanile venne in Italia e vinse un torneo a Perugia». Per il gol all’Inter è arrivata la telefonata celebrativ­a del presidente della Federcalci­o gambiana, Lamin Kaba Bajo, che ha già mandato i compliment­i ai due Musa (Juwara ma anche Barrow) e ha già previsto per i prossimi mesi - non appena il covid lo consentirà - una celebrazio­ne nello stadio più importante della capitale.

DESTINO. Oggi è questa la nuova vita di Musa. Nelle prossime settimane porterà qui la mamma e uno dei suoi fratelli, sta già organizzan­do i dettagli. Sta succedendo tutto così in fretta. Nella partita d’andata contro l’Inter Musa era andato da Lukaku, gli aveva chiesto la maglia, i due avevano iniziato a parlare, e adesso sono (quasi) amici. Non è passato molto tempo dall’approdo al porto di Messina: lì c’era il suo destino ad attenderlo. Juwara lo spostano in un centro di accoglienz­a in Basilicata, vicino Potenza. Prova con qualche lavoro, piccoli mestieri senza prospettiv­a. L’unica cosa che davvero sente dentro è il calcio. Vitantonio Suma, allenatore della Virtus Avigliano, lo nota. Lui e sua moglie diventano i tutori legali del ragazzo, gli consentono di andare a scuola. Sui campetti Juwara dà il meglio. E lo fa così bene che in un’amichevole del novembre 2016 attrae le attenzioni del Chievo. Ma ci sono le norme, i tesseramen­ti, e Musa non può fare il grande salto. La madre adottiva, l'avvocatess­a Loredana Bruno, ricorre d’urgenza al Tribunale di Potenza, senza grandi risultati. Serve un ulteriore sforzo, ma alla fine Juwara e la sua nuova famiglia riescono a superare gli ultimi cavilli legali e inizia il viaggio verso Verona grazie a un accordo raggiunto con i dirigenti dell’Avigliano, insieme a

Giambattis­ta Pastorello. Poi, arriva il Bologna.

CONTRATTO. Ha un contratto che scade nel 2022, ma da qualche giorno stanno già pensando di allungargl­i il contratto e farlo diventare un quinquenna­le. Di questo si sta occupando Federico, il figlio di Giambattis­ta Pastorello. Ma il lavoro viene sempre dopo la grande amicizia che si è creata con Musa. L’ultimo Natale Juwara lo ha passato con lui, con Federico e le sue figlie Sofia e Vittoria. Musa è di famiglia, Musa è di casa. Quando può va a trovare i suoi amici del Chievo, prende il treno e scende a Verona e poi va al campo o chiama qualcuno dei suoi ex compagni. Adesso gira in monopattin­o, per sceglierlo è stato tre ore in videochiam­ata con un suo amico di Brescia. Anche se adesso Musa è lanciato nel calcio che conta, ha voluto rimanere nel centro con i ragazzi della Primavera del Bologna. Si è fatto dare una stanza singola, ma non l’ha pretesa: l’ha chiesta. E spesso va dal suo amico fraterno Barrow, che gli fa vedere Netflix, lo fa giocare alla Play, e gli dà consigli. Il più forte è quello che Musa conosce già: niente paura.

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Musa Juwara 18 anni, esulta a San Siro dopo aver segnato il suo primo gol in serie A

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