OSTACOLO IBRA
CR7 TROVA ZLATAN SULLA VIA DELLO SCUDETTO E LA LAZIO A LECCE FA IL TIFO PER I ROSS ONERI Sarri lancia Higuain: «Il Milan ci mette sempre in difficoltà». Pioli va a caccia del bis dopo il blitz all’Olimpico
Balice, Bonsignore, Carotenuto, Palliggiano e Vitiello
479 GOL TOTALI
Da uno non puoi togliere il disordine del ghetto, all’altro non puoi smuovere un capello. Ibra si fa detestare con amore, Ronaldo si fa amare senza trasporto. Cristiano insegue l’eternità passando una vita in crioterapia. Zlatan brucia l’attimo così come si consuma la brace. Uno gioca a fare il dannato, l’altro a incarnare la perfezione. Non esistono due modelli più distanti capaci di arrivare allo stesso punto, non esistono due maniere più diverse di interpretare nel calcio lo stesso ruolo. No, non l’attaccante. L’Io.
TITANI. La sfida saltata ad aprile arriva finalmente stasera. È la cosa migliore che la Serie A possa offrire al mondo. Su una mappa ideale di inclinazioni e caratteri, uno starebbe nei pressi di Maradona e l’altro vicino a Pelé. Ibrahimovic nei soldi cerca pure l’anema e core. È tornato al Milan per lo stesso motivo che lo spingerebbe a giocare nel Monza. Ronaldo calcola di più. Pure i passi delle rincorse. Non te lo immagini tornare un giorno nello Sporting Lisbona. È di quelli che tra la vita e la morte sceglierebbe l’America.
NARRAZIONI. Hanno in comune una cornice tragica intorno alle loro origini. Ma Ibra conosce il valore della deviazione esplicita. Si è fatto narrare in un’autobiografia che è un inno alle infrazioni, quelle evitate e quelle vissute. Ha scelto un autore di noir, David Lagercrantz, perché con lui non si deve mai sapere come va a finire. Un selfie col dito medio da lui te lo aspetti, mai da Ronaldo, l’ex bimbo ferito che neppure dopo i trent’anni ha scoperto la necessità di lasciare del tutto liberi i fantasmi che si porta dentro. Con l’uomo che ha scritto la storia della sua vita, il giornalista Guillem Balague, non parla più. Non gli è piaciuto leggere delle proprie debolezze.
CONTRASTI. Insieme hanno portato il calcio nella modernità. Ma Ibrahimovic è l’ultimo sopravvissuto prima della trasformazione genetica dei campioni. È un mutante, un sopravvissuto. Viene dal bianco e nero, dalla strada, ha conosciuto il cortile. È uno dei pochi fuoriclasse che ancora sarebbe interessante intervistare. Ibra non dice: queste sono cose da chiedere al mister. È uno scrigno pieno. È una superficie aspra. Ha sempre una sua verità. Ronaldo è il primo cyber-fuoriclasse. Potrebbe essere figlio della Nasa. È un progetto liscio come una palla da biliardo. L’unica ondulazione che si concede sono gli addominali. Quando risponde a una domanda, tiene lo sguardo lontano e sceglie la risposta più vicina.
In termini aritmetici Ibrahimovic è un’addizione. Entra in una squadra e i nuovi compagni scoprono di avere all’improvviso più forza, più energia, fiducia, esito. Ronaldo agisce come una divisione. Entra in una squadra e i nuovi compagni scoprono che devono spartire con lui i calci di punizione. Anche se per due anni non ne segna mai.
IO SONO. Non è possibile che due così si amino. Se Cristiano segna una delle rovesciate più belle della storia, l’altro gli manda a dire che dovrebbe provarci da metà campo. Ibra è una statua a cui svellere il naso o tirare il pesce marcio. Ronaldo è sempre un monumento da lucidare. Il primo su Instagram si chiama I am Zlatan Ibrahimovic. Io sono. Come nell’alto dei cieli. Dai follower si misura il seguito, dai following si conoscono le persone. A Ibra interessano 20 account. Undici sono squadre di calcio: tutte quelle in cui ha giocato, più l’Hammarby che possiede. Poi sponsor, aziende, associazioni e due persone: il suo agente Mino Raiola e lo streamer KekgS. L’altro si fa chiamare semplicemente Cristiano, perché Ronaldo già esisteva, cosa che deve averlo disturbato parecchio. Segue 921 profili. Modelle, piloti, tennisti, cantanti (Bocelli), parecchi colleghi, tra cui Ibra. I following sono uno specchio.
Hanno ridefinito con Messi il concetto di campione: nessuno ha vinto il Mondiale
TITOLI. L’ego di CR7 lo spinge a disertare le premiazioni che non lo prevedono come premiato. L’ego di Ibra fa di più. Lo con
Hanno un impatto opposto sulle squadra in cui decidono di giocare
Lo svedese emette energia e fiducia il portoghese invece sa essere divisivo 630 GOL TOTALI
vince a credere che un evento senza di lui (persino un Mondiale) neppure sia degno di esistere. Entrambi, come in fondo Messi, ci hanno costretto a ridefinire il concetto di campione. È possibile trovarsi di fronte a un fenomeno che non ha mai vinto il massimo che c’è? Quanto immenso potremmo dichiarare Federer se non avesse mai vinto a Wimbledon? Potremmo mai immaginare che Merckx e Coppi siano stati i più grandi del ciclismo se non avessero mai vinto un titolo mondiale? Eppure Ronaldo (e il suo alter ego Messi) potrebbe chiudere la carriera senza riuscirci. Con il Portogallo ha un Europeo, sebbene vinto non da trascinatore o da assoluto protagonista. Ha una collezione di Champions e di Palloni d’oro. Ibrahimovic è invece un campione da giardino. Per una decina d’anni di fila non gli è mai sfuggito lo scudetto, ma oltre confine gli è sfuggita la gioia. Al Pallone d’oro non è mai stato fra i primi tre. Il suo impatto sulla Svezia è stato inferiore a quello avuto da Ronaldo sulla sua nazionale, in compenso è senza confronti l’influenza sulla società.
EREDITÀ. Figlio di un bosniaco e di una croata, Ibrahimovic ha mostrato l’esistenza di una via possibile agli immigrati nel paese. Dopo l’ascesa di Zlatan, la Svezia ha vinto un Europeo Under 21 con una generazione nuova, con Isak Ssali Ssewankambo di radici ugandesi, Erdal Rakip d’origini macedoni, Kerim Mrabti di padre tunisino e Amin Affane marocchino, Ferhad Ayaz turco, Dino Islamović bosniaco. Senza Ibra non ci sarebbe stato tutto questo. Il 31% dei residenti attuali di Malmö è nato all’estero, sei immigrati su dieci hanno passaporto svedese. Sono in prevalenza iracheni, slavi, polacchi, molti siriani e turchi. Fanno soprattutto i tassisti perché le licenze sono gratuite. È un panorama su cui ha inciso l’Io Zlatan.
AZIENDE. La società portoghese l’aveva già cambiata Eusébio. L’Io Ronaldo ha inciso di più sull’immaginario dei bambini di tutto il mondo facendosi icona globale e generazionale, immagine planetaria e sinonimo di successo, un avatar nel quale è semplice immedesimarsi ma difficile da replicare. Nessuno immagina da casa tutta la fatica che serve a essere Ronaldo, a vivere da Ronaldo, a farsi trovare pronti come Ronaldo. CR7 è fenomeno da establishment già per essere diventato un brand di due lettere e un numero. È un’azienda che gioca a calcio. Per dirla con metafore maradoniane: se domani piovesse di nuovo il famoso pallone sporco di fango tra gli invitati a un matrimonio, tutti vestiti di bianco, chi andrebbe fra quei due a stopparlo di petto?