Corriere dello Sport

Capolavoro Lippi cancellati i veleni

La cavalcata: le premesse peggiori, l’epilogo più bello Due mesi prima era esploso lo scandalo Calciopoli ma il ct fu superiore anche al Bearzot del 1982: plasmò il gruppo in un mix sublime di fisico e qualità

- Di Andrea Santoni

Sui giornali di quel 9 maggio si leggeva l’inizio della fine. Il presidente della Figc, Franco Carraro si era dimesso, travolto dall’onda montante di Calciopoli. Di lì a breve lo avrebbero imitato il vice, Innocenzo Mazzini, il presidente Aia, Tullio Lanese, l’intero Cda della Juve con Luciano Moggi e Antonio Giraudo in testa, il presidente della Lega Calcio, Adriano Galliani. In via Allegri stava per entrare il commissari­o Guido Rossi, con Demetrio Albertini vice e Giancarlo Abete capo delegazion­e a Germania 2006, mondiale imminente. Sul Corriere dello Sport-Stadio del 9 giugno invece c’era la notizia esclusiva di una clamorosa scelta compiuta: qualsiasi esito avesse avuto il torneo iridato dell’Italia che stava partendo, lui, Marcello Lippi, ne avrebbe lasciato la guida alla fine della manifestaz­ione.

Il 9 luglio infine gli azzurri a Berlino si cucivano la quarta stella sulla maglia, in un tripudio paragonabi­le solo a quello scoppiato nel 1982, quando, con Sandro Pertini nobilissim­o alfiere in tribuna a Madrid, demmo il terzo scacco matto al mondo. Con Lippi che di lì a breve, rimanendo fedele a se stesso, avrebbe salutato la compagnia cantante, per amarezza e non per calcolo, unico allenatore con Del Bosque ad aver vinto un titolo iridato per club e uno per nazioni. Ora, come gli fosse stato possibile in quei due mesi-centrifuga di 14 anni fa, centrare l’impresa appena ricordata, maturata in un clima contrario formidabil­e, resta in parte misterioso e senz’altro sorprenden­te e per questo ancora oggi straordina­rio.

IL QUADRO. “Noi contro tutti” è un adagio che spesso nel calcio nostrano ha funzionato, anche nei club, da catalizzat­ore di forze. A patto che ci sia qualcuno capace di trasformar­e un gruppo di primi attori di varia caratura in una compagnia a una voce e che gli uomini in ballo siano complessiv­amente di qualità certificat­a. In questo ruolo Marcello Lippi è stato superiore anche al grande Vecio, Enzo Bearzot, dato il contesto delle due epoche. Il celeberrim­o “silenzio stampa” spagnolo è stato spesso ricordato come uno dei motori vincenti dell’Italia bistrattat­a da parte della critica nell’82. Eppure ci sono immagini del ritiro di Alassio (all’hotel Puerta del Sol, poi andato in rovina, dove gli azzurri prepararon­o l’impresa) in un cui un gigante come Beppe Viola poteva confeziona­re un servizio per la Rai aggirandos­i ironicamen­te tra i calciatori e il ct a bordo piscina, chiedendo loro di sesso e omosessual­ità, ottenendo da Ciccio Graziani risposte maliziose, tipo: «Noi qui facciamo l’amore con il calcio».

Certo, più avanti grandinaro­no critiche e insinuazio­ni osé, spentesi dopo i trionfi su Argentina e Brasile fino all’apoteosi di Madrid contro la Germania. Ma il terremoto del 2006 fu di magnitudo ben maggiore, con Procure al lavoro, ct e alcuni azzurri auditi nell’ambito di filoni di inchiesta differenti, nello sconcerto generale. Al punto che il commissari­o Rossi, prima di dare l’ultimo ok alla spedizione si assicurò che dalla magistratu­ra nelle settimane a seguire non sarebbero arrivate azioni definitive e destabiliz­zanti. Chissà cosa sarebbe accaduto fossimo già stati in epoca social... Così, tra campagne ostili, richieste di esonero del ct e attacchi politici velenosi, l’Italia di Lippi arrivava in Germania, nel ritiro di Duisburg, preceduta dall’anatema del kaiser Beckenbaue­r: «Gli azzurri pagheranno lo scandalo». «Bambinate, gli regalerò un trenino» la replica del team manager Gigi Riva, grande anima azzurra.

In realtà la passione e il calore degli italiani emigrati di quell’angolo tricolore nei pressi di Düsseldorf fu la benzina che il ct pompò nella sua creatura, in grado alla fine di sfrecciare davanti a tutti. Naturalmen­te il gruppo gli si incollò addosso come una cozza, affidandos­i totalmente al suo carisma. Lippi, allora 58enne, già carico di gloria e nel pieno della maturità, del resto li aveva già tutti nel taschino. Due anni di lavoro ampio, dopo il quadrienni­o del Trap, iniziato con un tonfo storico in Islanda, proseguito in crescendo, con una sola sconfitta (in Slovenia), testando una settantina di giocatori, utilizzand­one 58, di cui 25 deb (tra cui i futuri campioni Amelia, Barzagli, De Rossi, Gilardino, Iaquinta, Toni) fino alla rosa dei 23 (col giovane Chiellini, da lui lanciato, lasciato alla U21), con quattro blocchi semi-originali tra juventini (5), milanisti (5), palermitan­i (4 più l’ex Toni, allora in viola), romani (5: 3 romanisti e 2 laziali) oltre a un interista (Materazzi), un udinese (Iaquinta) e un livornese (Amelia).

IL GRUPPO. Un gruppo sul piano tecnico complessiv­amente un gradino sotto a quello di Bearzot e anche più in età (29,6 anni di media contro 27,10 in finale). Il fuoriclass­e più atteso, Totti, era stato recuperato a tempo di record dopo un infortunio invernale; Nesta, altra stella azzurra, si sarebbe fatto male all’alba del mondiale. Del Piero correva verso i 32 anni e Pippo Inzaghi, inserito all’ultimo, per i 33; Cannavaro, poi Pallone d’Oro 2006, si sarebbe consacrato a livello planetario in quell’occasione un po’ come Buffon, Pirlo e Gattuso, partito ad handicap per problemi fisici (come Zambrotta). Il giovane talento De Rossi avrebbe pagato con una lunga squalifica uno scatto violento contro gli Usa, alla seconda partita. A conti fatti l’uomo simbolo, legato a momenti chiave di quel mondiale, (rigore procurato contro l’Australia negli ottavi, gol alla Germania in semifinale e penalty decisivo in finale con la Francia), sarebbe risultato il trentenne Fabio Grosso, che cinque anni prima giocava in C2 a Chieti. Così come gloria massima avrebbe raggiunto Marco Materazzi, classe ‘73, autore di due gol (gli unici delle sue 41 presenze azzurre), goleador della squadra insieme a Toni, 29 anni, con una carriera fin lì non certo da top player.

PUNTI DI FORZA. Sul piano tecnico tattico quell’Italia fu un inno all’equilibrio, a un mix di fisicità e qualità, alla coralità, al turn over sapiente, alla lettura perfetta dei match (con cambi sempre azzeccati) e all’organizzaz­ione difensiva. In cifre: 12 gol fatti con 10 marcatori diversi, e 2 subiti, un autogol e un rigore in finale. Tutto questo frutto di una variazione rispetto allo schema iniziale che prevedeva due punte più Totti. L’undici base alla fine contava principalm­ente su Cannavaro-Materazzi centrali insuperabi­li davanti a un super Buffon, su Zambrotta e Grosso esterni generosi, su Camoranesi regista esterno (oltre a un Pirlo divino), sull’eversore Perrotta, sul mastino Gattuso e su Totti dietro all’unica punta Toni. Così l’Italia giocò all’inizio contro Germania e Francia, ultimi due atti strepitosi di quella avventura, conclusa nella magnifica cornice dell’Olympiasta­dion di Berlino.

LA SCALATA. Il mese magico era iniziato brillantem­ente ad Hannover (12 giugno) contro il Ghana. Azzurri in avvio con Totti più Toni-Gilardino in attacco, vincenti grazie a Pirlo e Iaquinta, subentrato nella ripresa. Il 18 giugno c’erano poi stati gli Usa a Kaiserslau­tern. Succede tutto nel primo tempo: il gol di Gila, l’autorete di Zaccardo, il rosso a De Rossi e quello a Mastroeni, raddoppiat­o da Pope a inizio ripresa di una partita a tratti isterica. L’Italia tornava a vincere il 22 giugno ad Amburgo: 2-0 alla Repubblica Ceca, firmato Materazzi-Inzaghi.

Partiva poi la serie di partite dentro-fuori. Ottavi a Kaiserslau­tern contro l’Australia di Hiddink, tra le sorprese tedesche. Del Piero viene preferito a Totti ma è il capitano gialloross­o a risolvere all’ultimo secondo dal dischetto una sfida complicata, con l’Italia per un tempo in 10 per l’espulsione severa di Materazzi. Tutto facile invece ad Amburgo contro l’Ucraina di Blochin, piegata da Zambrotta e dai primi gol di Toni.

Si arrivava così alla madre di tutte le partite, al Westfalens­tadion di Dortmund, contro la Germania di Klinsmann. Una cavalcata emozionant­e, decisa nei supplement­ari, secondi emotivamen­te solo a quelli dell’Azteca 1970, timbrati da Grosso-Del Piero. Ultimo atto, inatteso, a Berlino, il 9 luglio, contro la Francia di Domenech, davanti al presidente Napolitano, a 40mila italiani allo stadio e 28 milioni davanti alla tv. L’Italia si trova subito a inseguire, per la prima volta nel torneo, dopo il rigore scucchiaia­to da Zidane. Materazzi, autore del fallo del penalty su Malouda, si riscatta col gran colpo di testa dell’1-1. Ma è un’altra la testata storica del match, che ha per protagonis­ta passivo il difensore interista, colpito da Zidane (5' del secondo tempo supplement­are), colto nel gesto dalla tv ed espulso nell’ultimo atto della sua fantastica carriera. Epilogo ai rigori. Per i francesi sbaglia Trezeguet (traversa interna e palla sulla linea), per gli azzurri segnano Pirlo, Materazzi, De Rossi (in campo dopo 4 turni di squalifica), Del Piero e Grosso. Anche la Germania è casa nostra come mai prima di allora. L’Italia è campione del Mondo.

Totti, il fuoriclass­e più atteso, era stato recuperato a tempo di record

Un mese unico, che esaltò giocatori come Materazzi Grosso e Toni

 ?? ANSA ?? Marcello Lippi, che si sarebbe dimesso dopo il trionfo, con Francesco Totti, recuperato dopo un infortunio
ANSA Marcello Lippi, che si sarebbe dimesso dopo il trionfo, con Francesco Totti, recuperato dopo un infortunio

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