Antonio, la sindrome cinese
Sul disagio interista di un allenatore molto particolare «Mi preme fornirgli argomenti in sua difesa se e quando i cinesi lo attaccheranno»
«Antonio Conte? Un giorno dovrai difenderlo». Profezia. Non frequento maghi. Gli ultimi veri - Helenio e Oronzo - li ho perduti da tempo. E mi mancano. Quella fu una lettera che mi arrivò verso metà dicembre, quando nella mia posta un lettore vero (trattato da anonimo da molti illustri anonimi che ogni giorno chiedono luce et lux non fuit) segnalò il disagio in cui si dibatteva il nuovo e reclamizzatissimo allenatore dell’Inter alle prese con i primi problemi di adattamento agli usi e costumi della Beneamata, non adeguatamente prospettatigli da Marotta, a sua volta all’oscuro delle attività del clan manovriero che da nove anni fa e disfa i progetti prima di Moratti, poi degli Zhang detti anche Suning.
«Dovrai difenderlo - mi disse l’autorevole amico di penna - perché lo vedrai abbandonato da tutti i ruffiani che gli stanno intorno, dagli analfabeti che pontificano a nome suo, dai cortigiani ex mazzarriani, ex gasperiniani, ex piolisti, ex spallettiani che vorrebbero dirsi fedeli a Mourinho, ma non osano perché lui li sputtanerebbe». E aggiungeva, il gratuito profeta: «Ti consiglierei, vista la situazione, di adottare la formula cinese “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico”. Ma ti so generoso e non lo farai. Anzi: lo difenderai...».
Generoso, sed non culionis (quant’è bello il latino quando fa caldo...) mi preme non tanto difendere Antonio Conte quanto fornirgli argomenti ch’egli potrà esibire in sua difesa se e quando i cinesi lo attaccheranno. Precisazione: corretto sarebbe se imitasse Fabio Capello e Walter Sabatini che, conosciuto l’ambiente Suning, preferirono tagliare la corda rinunciando (forse) anche a vistosi emolumenti. Ma non oso. Non ho mai posseduto tanto denaro e trovo disdicevole moraleggiare sulla ricchezza altrui, come saggiamente ha appena affermato la bella consorte dell’interista Bonolis. Né voglio argomentare degli errori tecnici commessi da Conte che presumo maturati in un ambiente dove tutti - dirigenti e calciatori, o meglio giocatori come ama saggiamente precisare Arrigo Sacchi sono tutelati dalla perenne colpevolezza del tecnico che non vince subito; mal che vada, gli stessi giocatori possono essere allontanati, ma in genere è loro fortuna, come insegnano Seedorf, Pirlo, Cannavaro, Coutinho, Zaniolo e buon ultimo Icardi che sarà forse seguito da Lautaro.
Non lo difenderà - se non in funzione mediatica - neppure Marotta il quale sembrava lo zio se non il papà di Conte tanto faceva per accontentarlo, come la mamma col pupo, bocca mia cosa vuoi tu, proprio a partire da quell’Icardi che costituiva - come s’è visto - la pietra angolare della costruenda Inter dei Sogni che oggi sembra crollare. Il profeta mi segnalava anche questo pernicioso dinamismo del Marotta che avrebbe dato - mi diceva - corda al tecnico perché ci s’impiccasse. Ma anche il Marotta non sembra uscire indenne da questa (calcolata?) manfrina. Immagino che con il giovane Steven Zhang - a sua volta vittima di turbamenti come Torless, creatura di Musil - abbia sempre parlato lui, spillandogli un par di cento milioni con quell’aria da ottimista sulfureo ostentata fino a qualche settimana fa. Papà Zhang, dopo avere erudito il pupo, non si dimenticherà del suo tutore amministrativo, del suo creativo Ceo.
Difenderò certo Conte spiegando ai giurati di un ipotetico processo che non è tutta colpa dell’imputato se si è fidato di quel satiresco contorno di sgarbiane capre - cialtroncelli di bosco e di riviera, spensierati opinionisti, illustri cultori del pensiero debole, giornali “senza nocchiere in gran tempesta” - oggi girati da complici a implacabili giudici. Io resto, per la cronaca, fra i pochi che lo difesero dall’ignobile accusa di frode sportiva, e vinsi. Forse per questo il lettore/profeta me l’ha affidato fiducioso.
Ecco, la mia arringa difensiva, priva peraltro dell’abilità dell’avvocato Coppi ma soprattutto dell’incommensurabile satireggiante saggezza e conoscenza di Peppino Prisco, è finita. Affido l’imputato alla clemenza della corte con un’ultima raccomandazione: toglietegli tutto, non la panchina. So che basterà poco, un nonnulla, una vittoriuzza, per far tornare a cantare le cicale. E nulla sarà successo. Fino a domani.