«Non giocare, che danno»
«Non ho mai visto un Ministro far visita nella scuola. Non sanno di che parlano...». Giusy Morsicato, insegnante di educazione fisica, all’Istituto comprensivo Giuseppe Catalfamo di Messina, sportiva, soldato in prima linea in scuole di frontiera a sostenere l’importanza della sua disciplina, spesso decisiva nella crescita dei ragazzi, e sempre inclusiva più di qualsiasi altra materia. Ma in Italia è ancora un insegnamento di serie B, le misure due ore settimanali ne sono la prova.
La professoressa Morsicato è una guerriera dell’uguaglianza e l’arma che usa è lo sport. «Mi sento un’insegnante di frontiera, ho scelto io questa scuola di periferia (in un quartiere nato con l’edilizia popolare). Lo sport, specie in realtà come questa dove insegno, serve a dimostrare che tutti hanno la possibilità di superare i propri limiti. Educhiamo a vincere il “non lo so fare”, e a rendersi conto che non sono le scarpe ammortizzate a fare la differenza ma le motivazioni, e noi facciamo in modo che le trovino».
Un professore di motoria in cattedra è una contraddizione. Eppure se passa che si faccia solo teoria, è quel che succederà. «E’ una follia. A scuola mi chiamano “palle e pallini” perché credo che tante volte fanno più dei libri. Ma non basta dare ai ragazzi un pallone e dire fate quello che volete, si annoiano. Hanno bisogno delle regole e di muoversi per un obiettivo. Lo sport è stare insieme e insieme nella diversità. Dentro un campo di calcio siamo tutti uguali. Lo dovrebbero chiedere a noi cosa significa insegnare in certe realtà, a noi insegnanti da quattro soldi che lavoriamo nei cortili, altro che palestre! Levare loro il movimento a scuola è un altro danno. Soprattutto in questo anno terribile. Avere cura non è togliere il gioco con le sue regole e i suoi obiettivi per paura del ritorno del virus: per come vanno le cose penso che sia meglio malati che tristi».