Minori, la grande dimenticanza
La dottoressa De Stasio: «La scuola e lo sport sono le principali privazioni»
Igiovani in età scolare sono sicuramente tra le principali vittime dell’emergenza pandemia. Ne parliamo con la dottoressa Simona De Stasio, psicoterapeuta dell’età evolutiva, docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università Lumsa di Roma, e nove anni di insegnamento alla facoltà di Scienze Motorie.
Privati di tanto-scuola, sport, contattofisico-praticamente di tutto?
«Lo sport è un’occasione di socializzazione. Lo spogliatoio è socialità. Questa è stata una privazione assoluta. Come la scuola in presenza perché massimizza ciò che si impara dai pari rispetto a quanto si apprende dagli insegnanti. Niente può cancellare la necessità del contatto fisico, che è istanza di accrescimento umano».
Chi ha patito di più la distanza?
«La criticità della didattica a distanza l’hanno avvertita di più i piccoli delle elementari, per i quali l’utilizzo dei video per stare assieme è una pratica complicata e inusuale. Gli adolescenti invece hanno perso un’occasione vistosa: informale, cioè stare col gruppo, giocare, uscire; e formale, come fare sport o altre attività strutturate e guidate dagli adulti. Questa è l’età in cui è forte la necessità di esplorazione fuori della famiglia, un’esigenza connaturata per capire chi si vuol essere. C’è chi questa interruzione delle interazioni in presenza l’ha riempita di significati, nutrendo la riflessione, ma c’è chi si è appiattito sul vuoto, rappresentato dall’assenza della routine scolastica. La distanza inoltre ha acuito la differenza tra chi aveva una buona condizione di sviluppo e chi invece aveva un crescita psicologica più critica. I ragazzi che avevano una certa solidità e strategie diversificate hanno utilizzato le proprie abilità mentalistiche per vivere la sospensione in modo riflessivo. All’opposto, la presenza di vulnerabilità nei ragazzi, riconducibile a condizioni familiari critiche, ha potuto incidere in modo involutivo. Drammaticamente, si è perso chi era già perdente. Il ritorno a scuola e allo sport quindi diventa un’impellenza. Ma il futuro ora va pensato come un nuovo arricchimento e non come un ritorno al passato che sarebbe una operazione di negazione delle sfide da affrontare».
Il dibattito su come tornare sui banchi disorienta più del virus.
«Cresce il disappunto, perché quello che è annunciato dovrebbe essere rispettato, invece si susseguono nei giorni orientamenti spesso contraddittori. Il messaggio arrivato finora è che lo Stato non si occupa dei suoi ragazzi, non li considera la priorità, e tutto resta a carico delle famiglie e dei singoli. Bambini e ragazzi sono la più grande dimenticanza dell’Italia a 360 gradi. Lo Stato fa melina e c’è un rimpallo di responsabilità. Fino a oggi l’agenda governativa ha scordato la parte più importante della popolazione. Siamo in attesa di ottenere che ci sia una riparazione rispetto a questa grave dimenticanza».
Chini suglismartph on e,tropp oso ci al, sempre connessi, strafottenti e sdraiati, è questo il quadro degli adolescenti?
«Iperconnessi? E’ una definizione che serve a mettere a fuoco la nostra società: noi adulti siamo i modelli. Se è vero che c’è un massiccio utilizzo della tecnologia, accade in continuità con il mondo degli adulti. Basti pensare quanto precocemente siano esposti i neonati quando si usano come baby sitter dispositivi tecnologici. I figli si allineano al mondo dei grandi. A noi adulti quindi tocca offrire altre opportunità di crescita e non solo demonizzare e condannare i mezzi tecnologici. Essere avversi al mondo di internet è un’operazione di sciocco riduzionismo. Se il mezzo tecnologico è usato per socializzare, come in quarantena, va benissimo. Serve equilibrio e offrire una varietà nel menu delle opportunità. E per favore non usiamo stereotipi quando parliamo delle nuove generazioni!»
I ragazzi che fanno sport agonistico, pagheranno più degli altri per l’interruzione di un sogno?
«Questa è stata un’occasione per capire che è importante coltivare il talento, ma anche tutte le altre dimensioni che compongono un individuo, solo così quando l’impegno agonistico viene messo a rischio si hanno a disposizione più risorse per la ripresa».
Le ore di educazione fisica solo come teoria è un nonsense?
«E’ un errore. Nessuno può prescindere dallo sport che è parte integrante della crescita fisica e psicologica. Purtroppo non appartiene alla nostra cultura questo concetto. In Italia sono troppo poche le ore dedicate all’educazione fisica. L’attività motoria è un’occasione per coltivare l’autoefficacia molto rilevante per l’autostima. E non è un più, una aggiunta, ma una preziosa occasione di sviluppo integrato a scuola. Lo sport non è un accessorio».
La psicoterapeuta: «Il messaggio che arriva è che i ragazzi non sono la priorità»