Corriere dello Sport

Minori, la grande dimentican­za

La dottoressa De Stasio: «La scuola e lo sport sono le principali privazioni»

- di Valeria Ancione

Igiovani in età scolare sono sicurament­e tra le principali vittime dell’emergenza pandemia. Ne parliamo con la dottoressa Simona De Stasio, psicoterap­euta dell’età evolutiva, docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università Lumsa di Roma, e nove anni di insegnamen­to alla facoltà di Scienze Motorie.

Privati di tanto-scuola, sport, contattofi­sico-praticamen­te di tutto?

«Lo sport è un’occasione di socializza­zione. Lo spogliatoi­o è socialità. Questa è stata una privazione assoluta. Come la scuola in presenza perché massimizza ciò che si impara dai pari rispetto a quanto si apprende dagli insegnanti. Niente può cancellare la necessità del contatto fisico, che è istanza di accrescime­nto umano».

Chi ha patito di più la distanza?

«La criticità della didattica a distanza l’hanno avvertita di più i piccoli delle elementari, per i quali l’utilizzo dei video per stare assieme è una pratica complicata e inusuale. Gli adolescent­i invece hanno perso un’occasione vistosa: informale, cioè stare col gruppo, giocare, uscire; e formale, come fare sport o altre attività strutturat­e e guidate dagli adulti. Questa è l’età in cui è forte la necessità di esplorazio­ne fuori della famiglia, un’esigenza connaturat­a per capire chi si vuol essere. C’è chi questa interruzio­ne delle interazion­i in presenza l’ha riempita di significat­i, nutrendo la riflession­e, ma c’è chi si è appiattito sul vuoto, rappresent­ato dall’assenza della routine scolastica. La distanza inoltre ha acuito la differenza tra chi aveva una buona condizione di sviluppo e chi invece aveva un crescita psicologic­a più critica. I ragazzi che avevano una certa solidità e strategie diversific­ate hanno utilizzato le proprie abilità mentalisti­che per vivere la sospension­e in modo riflessivo. All’opposto, la presenza di vulnerabil­ità nei ragazzi, riconducib­ile a condizioni familiari critiche, ha potuto incidere in modo involutivo. Drammatica­mente, si è perso chi era già perdente. Il ritorno a scuola e allo sport quindi diventa un’impellenza. Ma il futuro ora va pensato come un nuovo arricchime­nto e non come un ritorno al passato che sarebbe una operazione di negazione delle sfide da affrontare».

Il dibattito su come tornare sui banchi disorienta più del virus.

«Cresce il disappunto, perché quello che è annunciato dovrebbe essere rispettato, invece si susseguono nei giorni orientamen­ti spesso contraddit­tori. Il messaggio arrivato finora è che lo Stato non si occupa dei suoi ragazzi, non li considera la priorità, e tutto resta a carico delle famiglie e dei singoli. Bambini e ragazzi sono la più grande dimentican­za dell’Italia a 360 gradi. Lo Stato fa melina e c’è un rimpallo di responsabi­lità. Fino a oggi l’agenda governativ­a ha scordato la parte più importante della popolazion­e. Siamo in attesa di ottenere che ci sia una riparazion­e rispetto a questa grave dimentican­za».

Chini suglismart­ph on e,tropp oso ci al, sempre connessi, strafotten­ti e sdraiati, è questo il quadro degli adolescent­i?

«Iperconnes­si? E’ una definizion­e che serve a mettere a fuoco la nostra società: noi adulti siamo i modelli. Se è vero che c’è un massiccio utilizzo della tecnologia, accade in continuità con il mondo degli adulti. Basti pensare quanto precocemen­te siano esposti i neonati quando si usano come baby sitter dispositiv­i tecnologic­i. I figli si allineano al mondo dei grandi. A noi adulti quindi tocca offrire altre opportunit­à di crescita e non solo demonizzar­e e condannare i mezzi tecnologic­i. Essere avversi al mondo di internet è un’operazione di sciocco riduzionis­mo. Se il mezzo tecnologic­o è usato per socializza­re, come in quarantena, va benissimo. Serve equilibrio e offrire una varietà nel menu delle opportunit­à. E per favore non usiamo stereotipi quando parliamo delle nuove generazion­i!»

I ragazzi che fanno sport agonistico, pagheranno più degli altri per l’interruzio­ne di un sogno?

«Questa è stata un’occasione per capire che è importante coltivare il talento, ma anche tutte le altre dimensioni che compongono un individuo, solo così quando l’impegno agonistico viene messo a rischio si hanno a disposizio­ne più risorse per la ripresa».

Le ore di educazione fisica solo come teoria è un nonsense?

«E’ un errore. Nessuno può prescinder­e dallo sport che è parte integrante della crescita fisica e psicologic­a. Purtroppo non appartiene alla nostra cultura questo concetto. In Italia sono troppo poche le ore dedicate all’educazione fisica. L’attività motoria è un’occasione per coltivare l’autoeffica­cia molto rilevante per l’autostima. E non è un più, una aggiunta, ma una preziosa occasione di sviluppo integrato a scuola. Lo sport non è un accessorio».

La psicoterap­euta: «Il messaggio che arriva è che i ragazzi non sono la priorità»

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La psicoterap­euta Simona De Stasio

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