Che torni a rotolare il pallone di felicità
Alla partenza dell’anno scolastico più disgraziato del dopoguerra, il 2019-2020, i giovani italiani iscritti a ogni grado di scuola, dalla materna alle superiori, erano intorno agli otto milioni. Tra i minori il 55% pratica sport. Il covid ha fermato la scuola, lo sport e molti sogni. Ha rivoluzionato il modo di relazionarsi, inventandosi un sistema “barricato”, ovvero al di là del video.
Una sospensione di vita per tutti, ma che per i nostri ragazzi pare non sia finita. La prima cosa a chiudere in pandemia è stata la scuola, l’ultima a riaprire è sempre la scuola e di conseguenza l’attività sportiva. La discussione intorno alla ripresa è un balletto in cui per non pestarsi i piedi non si fa un passo. La paura del ritorno del virus, senza prova scientifica possibile, fa sì che la responsabilità della ripartenza sia una palla avvelenata che vola di mano in mano.
Mascherine, plexiglass, turnazioni, occupazione delle palestre scolastiche (quando ci sono...) per distanziare i banchi sono tra le tante ipotesi all’ordine del giorno. Discutibile, penalizzante e dannosa è senz’altro quella di rendere solo teorica l’educazione fisica. Il messaggio che arriva è che fare sport faccia male in questo momento, che possa essere causa di diffusione, e che non serva poi a molto, se se ne può fare facilmente a meno. La solita forma di snobismo che ha accompagnato i mesi di chiusura totale in cui a chi parlava di ripresa del campionato di calcio, noi fra tutti, si sentiva rispondere “chi se ne frega del calcio, ci sono altre priorità”. Nonostante qualche pomodoro in faccia, continuiamo a pensare, e per fortuna non siamo i soli, che lo sport sia una priorità a tutti i livelli.
Notate come, mentre sono ripartiti i centri estivi, le spiagge si riempiono di gente di ogni età, gli assembramenti fuori dei locali sono fotografati giornalmente dalle spie del web, il problema sarebbero i bambini e gli adolescenti che a settembre dovranno riprendere la vera normalità col ritorno a scuola e in generale alla vita in presenza.
Se la scuola non “libera” la convivenza tra studenti e professori va da sé che sia impossibile la ripresa delle attività sportive, in contrasto e dunque vietate. Non tutto sia inteso, perché discipline come tennis o nuoto sono riprese da un bel po’, ma scuola e calcio (per semplificare) sono strettamente collegati.
Abbiamo acceso e sostenuto la battaglia per il campionato convinti che la ripresa del calcio rappresentasse tra l’altro una scossa per il ritorno alla normalità di tutto e tutti, siamo altrettanto convinti adesso che avere cura di bambini e ragazzi sia farli tornare a una vita reale, fatta di aggregazione, sport, scuola senza protocolli oltremodo limitanti e soprattutto difficili da giustificare alla luce dell’andamento dei contagi attuali. Ipotetiche previsioni di ritorno virale inducono a una quotidianità piena di accorgimenti destabilizzanti, che rendono insicuri e ansiosi per prevenire qualcosa che non è detto debba accadere.
La paura di questi mesi, la lunga clausura, la scuola online, l’ultimo anno di ciclo scolastico - la quinta elementare, la terza media e il quinto superiore - mancato, la distanza sociale, la casa come gabbia, la forbice tra chi può e chi non può che si allarga, lo sport negato, tutto questo e molto altro rischia di fare più male del virus. Il fantasma genera angoscia e la tristezza può prendere il sopravvento sulla ripresa psicologica dei ragazzi, soprattutto di quelli più vulnerabili per i quali il ritorno alla socialità sarà una salita erta.
Scriveva Eduardo Galeano in “Splendori e miserie del gioco del calcio”: «Un giornalista chiese alla teologa Dorothee Solle come spiegherebbe a un bambino che cosa è la felicità. “Non glielo spiegherei, rispose, gli darei un pallone per farlo giocare”».
Noi tifiamo per restituire ai nostri scolari e atleti per gioco, per talento o per passione quel pallone di felicità.