IL VOLO DI DAN L’UOMO CHE SA VEDERE OLTRE
Una storia particolare, l’attitudine a non porsi limiti: ecco chi à Friedkin Pallotta gli lascia una serie di problemi. Ma la sua capacità di spaziare (con successo) nei settori più diversi testimonia che può essere l’uomo della svolta
È una dote di famiglia: guardare avanti, guardare oltre. L’uomo che sta arrivando a Roma a prendersi il club che è stato di Dino Viola e Franco Sensi, ora strappato a fuoco lento a Jim Pallotta, non è abituato tracciare confini, alzare steccati, a speculare sull’immediato. Ed è già questo un motivo per dargli fiducia.
Ogni limite, nella mente e nella storia di Dan Friedkin, laureato alla Georgetown University, Master in business administration, esiste per essere superato, o meglio sorvolato. Lo pensava il nonno Kenny, che quando aveva 8 anni vide uno spettacolo di aeroplani a San Diego, California, e decise che avrebbe fatto il pilota: a 17 anni aveva già la licenza, a 30 apriva una scuola di volo, a 34 fondava una compagnia aerea. Lo pensava il padre Thomas, appassionato di auto da corsa, che a 33 anni prese un aereo e volò in Giappone, a spiegare al boss della Toyota che era lui l’uomo giusto per portare il marchio nel mercato americano. “Noi i giapponesi li rispediamo al di là del mare” lo aveva dissuaso il boss italoamericano dell’auto, Lee Iacocca. Thomas Friedkin invece portò la prima Toyota a Houston nel 1969, e oggi le ultime stime parlano di 154 rivenditori in sei Stati sotto il nome di Friedkin Group, tra le cinquanta imprese private più importanti negli States, 5.600 dipendenti e 12 società, un ventaglio di attività e interessi di cui il settore dell’auto è soltanto il motore (ovviamente) principale.
Oggi Thomas non c’è più, volato via nel 2017, ma dal 2001 aveva lasciato il suo impero a Dan, unico figlio, l’uomo che si prepara alla sfida italiana. Jim Pallotta, che lo appena invitato a non commettere i suoi errori, gli ha lasciato più di uno steccato da superare, non solo una valanga di debiti: una situazione societaria tutt’altro che florida, una dirigenza da ridisegnare, una squadra da rifondare e rimotivare, un paio di talenti limpidi da incatenare al più presto a Trigoria, nove anni di insuccessi, un peso politico da imporre nel calcio italiano sfilacciato da troppi interessi diversi. Ma soprattutto gli ha lasciato una città, nella sua consistente porzione giallorossa, decisamente delusa, sfiduciata da promesse non mantenute e piuttosto armata ormai di solida diffidenza verso il sogno americano, sempre annunciato, talvolta intravisto, mai vissuto.
Dan, sposato con Debra, quattro figli, non ha ancora parlato. Non ha fatto promesse, non ha posto condizioni. Ha tuffato il naso nei conti giallorossi nella lunga fase di analisi chiamata due diligence, ha spedito a Roma il suo stato maggiore per vedere da vicino dove andava a riversare mezzo miliardo e spiccioli - lui che ha un patrimonio personale di 4,1 miliardi, secondo Forbes - ha fatto la sua valutazione al tempo del Covid e ha aspettato che il deal, come dicono loro, si facesse alle sue condizioni. Ha unito la sua visione di imprenditore all’entusiasmo del figlio Ryan, che sarà il suo braccio armato a Roma - gli hanno detto subito che una gestione via skype o zoom non è gradita, da queste parti - e ha detto sì. Dal Friedkin Group solo due comunicati essenziali per esigenze di Borsa, a preannunciare il closing, parola che mai come in questo caso si riempie di significati. Ma si è già mosso sotto traccia, Dan, con i maggiorenti dello sport italiano, ad assicurare che non viene a fare speculazioni, forte delle sue capacità imprenditoriali che negli anni gli hanno fatto spalancare porte e mondi, e alimentare una nobile vocazione filantropica: dal settore alberghiero con resort di lusso, all’organizzazione di viaggi extralusso compresi safari in Africa, alla produzione cinematografica, con tanto di Palma d’Oro vinta a Cannes nel 2017, solo a significare che quando gioca, Dan, gli piace vincere.
Per sé, pilota come il nonno, ha tenuto la passione per il volo e una collezione di aerei da caccia che in Usa non ha eguali. Troppo banale sostenere che ora voglia far decollare la Roma. Difficile che lo dica lui, di sicuro merita che gli si conceda il tempo di provarci. Magari è il sogno americano, dieci anni dopo.