La scommessa Capitale
Impegno totale assunto come una responsabilità verso Roma, presenza costante in città e dialogo con i tifosi, grandi obiettivi con una strategia di lungo periodo.
Impegno totale assunto come una responsabilità verso Roma, presenza costante in città e dialogo con i tifosi, grandi obiettivi con una strategia di lungo periodo, continuità aziendale ma nello spirito di una ricostruzione. Il messaggio con cui Dan Friedkin si presenta è un capolavoro di comunicazione insieme sportiva e politica, perché in controluce contiene una risposta a tutti gli errori e le ferite aperte della gestione Pallotta.
Ciò vuol dire due cose. La prima è che il magnate texano è stato ben consigliato. Ha studiato, nella lunga gittata di questa delicata trattativa, il calcio italiano, la società giallorossa e l’ambiente. Probabilmente conosce allo stesso modo l’egemonia della Juve e le lacrime di Totti e De Rossi. La seconda è che ha piena consapevolezza di quanto complessa, ancorché affascinante, sia l’avventura che sta per intraprendere. Perché qui le migliori virtù e i peggiori vizi italiani sono così contigui che distinguerli richiede un’esperienza e un intuito speciali.
Non si prende Roma standoci lontano, trattandola come un business o al più una vetrina, ma non si prende neanche facendosi sopraffare dalle sue lusinghe. Ne sanno qualcosa tecnici e dirigenti blasonati usciti in questi anni da Trigoria acciaccati, quando non con le ossa rotte. Perché lo spogliatoio ha da sempre una cifra identitaria che può essere una risorsa o piuttosto una zavorra. Perché lo status del tifoso giallorosso somiglia a una missione e, talvolta, a un mestiere. Perché, da ultimo, il reticolo di relazioni con i diversi poteri della Capitale è un labirinto inestricabile, dove fai fatica a capire cos’è pubblico e cos’è privato, cos’è municipale e cos’è internazionale.
Vincere a Roma significa far convogliare verso un obiettivo energie e interessi potenzialmente confliggenti. Per questo è una sfida non solo sportiva, ma soprattutto politica. Per la quale non basta un ricco speculatore, ma serve un imprenditore a tutto tondo, capace di una visione e di una strategia. Friedkin è quello che serve alla Roma e a Roma. Probabilmente sa anche che la crisi del club ha coinciso con quella della città e che il suo arrivo inaugura una transizione incerta in cui tutto può accadere. Che la Capitale abbia un riscatto civile e che la squadra in qualche modo se lo intesti, o piuttosto che il declino diventi una condizione strutturale e, in un certo senso, cronica, e che alla Roma tocchi di portare in solitudine nel mondo il nome che Roma ignora o calpesta.
L’acquisto della società giallorossa è una scommessa in cui tutto si tiene, i risultati sportivi come il rilancio metropolitano. Il pallone e la lupa corrono affiancati: mentre il club collezionava una sequela di flop, il Campidoglio diventava una Babele di veleni e, in una rivoluzione abortita sul nascere, divorava le Olimpiadi e congelava il progetto del nuovo stadio. La storia di Roma è ferma da un decennio allo stesso crocevia, dove Friedkin da ieri è arrivato. Con le prime parole il tycoon texano ha fatto intendere che il suo approdo è solo una sosta verso un nuovo cammino, da intraprendere insieme con la città. Ci sono tutte le ragioni per dargli fiducia.