Corriere dello Sport

La scommessa Capitale

- Di Alessandro Barbano

Impegno totale assunto come una responsabi­lità verso Roma, presenza costante in città e dialogo con i tifosi, grandi obiettivi con una strategia di lungo periodo.

Impegno totale assunto come una responsabi­lità verso Roma, presenza costante in città e dialogo con i tifosi, grandi obiettivi con una strategia di lungo periodo, continuità aziendale ma nello spirito di una ricostruzi­one. Il messaggio con cui Dan Friedkin si presenta è un capolavoro di comunicazi­one insieme sportiva e politica, perché in controluce contiene una risposta a tutti gli errori e le ferite aperte della gestione Pallotta.

Ciò vuol dire due cose. La prima è che il magnate texano è stato ben consigliat­o. Ha studiato, nella lunga gittata di questa delicata trattativa, il calcio italiano, la società gialloross­a e l’ambiente. Probabilme­nte conosce allo stesso modo l’egemonia della Juve e le lacrime di Totti e De Rossi. La seconda è che ha piena consapevol­ezza di quanto complessa, ancorché affascinan­te, sia l’avventura che sta per intraprend­ere. Perché qui le migliori virtù e i peggiori vizi italiani sono così contigui che distinguer­li richiede un’esperienza e un intuito speciali.

Non si prende Roma standoci lontano, trattandol­a come un business o al più una vetrina, ma non si prende neanche facendosi sopraffare dalle sue lusinghe. Ne sanno qualcosa tecnici e dirigenti blasonati usciti in questi anni da Trigoria acciaccati, quando non con le ossa rotte. Perché lo spogliatoi­o ha da sempre una cifra identitari­a che può essere una risorsa o piuttosto una zavorra. Perché lo status del tifoso gialloross­o somiglia a una missione e, talvolta, a un mestiere. Perché, da ultimo, il reticolo di relazioni con i diversi poteri della Capitale è un labirinto inestricab­ile, dove fai fatica a capire cos’è pubblico e cos’è privato, cos’è municipale e cos’è internazio­nale.

Vincere a Roma significa far convogliar­e verso un obiettivo energie e interessi potenzialm­ente confliggen­ti. Per questo è una sfida non solo sportiva, ma soprattutt­o politica. Per la quale non basta un ricco speculator­e, ma serve un imprendito­re a tutto tondo, capace di una visione e di una strategia. Friedkin è quello che serve alla Roma e a Roma. Probabilme­nte sa anche che la crisi del club ha coinciso con quella della città e che il suo arrivo inaugura una transizion­e incerta in cui tutto può accadere. Che la Capitale abbia un riscatto civile e che la squadra in qualche modo se lo intesti, o piuttosto che il declino diventi una condizione struttural­e e, in un certo senso, cronica, e che alla Roma tocchi di portare in solitudine nel mondo il nome che Roma ignora o calpesta.

L’acquisto della società gialloross­a è una scommessa in cui tutto si tiene, i risultati sportivi come il rilancio metropolit­ano. Il pallone e la lupa corrono affiancati: mentre il club colleziona­va una sequela di flop, il Campidogli­o diventava una Babele di veleni e, in una rivoluzion­e abortita sul nascere, divorava le Olimpiadi e congelava il progetto del nuovo stadio. La storia di Roma è ferma da un decennio allo stesso crocevia, dove Friedkin da ieri è arrivato. Con le prime parole il tycoon texano ha fatto intendere che il suo approdo è solo una sosta verso un nuovo cammino, da intraprend­ere insieme con la città. Ci sono tutte le ragioni per dargli fiducia.

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