Corriere dello Sport

Il kamikaze che prese la luna

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Quando si parla di regali, nel calcio, la Befana è l’Inter. Questa non è la storia di Pirlo, uno dei più recenti doni che ormai è tutto bianconero. Questa è una storia degli anni Cinquanta/Sessanta, quando un portiere che in nerazzurro aveva vinto tre scudetti fu sloggiato, ceduto al Genoa che poi gli fece godere una vendetta sportiva trasferend­olo - aveva 30 anni - al Milan. E col Milan Giorgio Ghezzi giocò sei stagioni, 144 partite, vincendo uno scudetto ma soprattutt­o la Coppa dei Campioni del 1963.

Vidi la partita che più di altre mi esaltò e mi insegnò ad amare il calcio. Anche perché uno del Milan, Ghezzi appunto, era di Romagna come me, già giocatore del Rimini, orgoglio cittadino, orgoglio romagnolo. E infatti la “squadra” che più amò, nella sua tormentata vita, fu la Romagna. Quella sera il Milan presentava tutti ragazzi dei quali diventai amico, escluso il professor Sani che veniva da un altro mondo. Eccoli: Ghezzi, David,

Trebbi, Benítez, Maldini, Trapattoni, Sani, Rivera, Pivatelli, Altafini e Mora. I rossoneri, sotto di un gol segnato da Eusebio, riuscirono a ribaltare il risultato nella ripresa con due gol di Altafini che un giorno Gipo Viani osò definire “coniglio”. Era un leone.

Non dimentiche­rò mai il momento in cui Cesare Maldini alzò al cielo la Coppa dei

Campioni, la prima vinta da un club italiano. Storia. Giorgio Ghezzi era famoso per le due uscite spericolat­e che gli meritarono il nomignolo “Kamikaze”. I birri romagnoli lo dicevano maliziosam­ente anche campione delle... entrate quando conquistò Edy Campagnoli, graziosa valletta di Mike Bongiorno (poi finita sposa a Lorenzo Buffon, portiere di Milan e Inter, rivale di Ghezzi anche sul campo). Un giorno Stadio mi mandò a intervista­rlo. Aveva smesso di giocare e messo su un bell’albergo nella sua città, Cesenatico: l’Internazio­nale. Un nome come un altro? Macché. Quando arrivai vidi molto nerazzurro e lui, Ghezzi, che non diceva molto e non era neanche simpatico, liquidò i miei dubbi: “Sono interista da tutta la vita”. Non fu, la mia, una grande intervista: Giorgio, eccellente albergator­e, era diventato un vip per i vip, aveva aperto un night ricercatis­simo, “il Peccato Veniale”, aveva ospiti famosi come Walter Chiari e Giorgio Bramieri, un milanista e un interista. Ma soprattutt­o Dario Fo e la bellissima Franca Rame e altri intellettu­ali. Di sinistra. Giorgio era comunista e tentò brevemente la politica.

All’Internazio­nale svacanzava Luciano Parisini, caporedatt­ore di Stadio, che ispirò e realizzò una pagina di pubblicità per Ghezzi quando Armstrong scese sulla luna il 20 luglio del 1969: di lassù si vedeva il suo albergo. Una romagnolat­a che mi ha indotto a riflession­i quando, approdato a Pantelleri­a, dove vivo, ho scoperto che quella notte nell’Isola c’era Gabriele

Garcia Marquez che lasciò scritto “...ma la luna era qui”, e per decenni non ne ha parlato nessuno. Erano passati molti anni da quell’intervista mal riuscita e un giorno un Ghezzi invecchiat­o e accorato mi chiese un appuntamen­to. Voleva che l’aiutassi in una campagna antidroga. L’ho fatto senza chiedergli perché. È morto a sessant’anni. Di crepacuore.

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18 Giorgio Ghezzi
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