Ribelle, veloce come il vento
Chi ha conosciuto Pascutti ricorda un uomo - o un eterno ragazzo - che sorrideva sempre. E invece era sempre incazzato. Anche per niente. Polemizzava anche col vento che pure era suo alleato: si diceva di Ezio ” va come il vento”. Ezio, il caro ribelle dal cuore buono, esibiva un sorriso forzato, infastidito, più sarcastico che ironico, somma di mille contrattempi: incidenti di gioco, ferite, giudizi negativi che non ammetteva, persecuzioni per quel pugno al picchiatore Dubinski, a Mosca, voti in pagella “da scemi”. E trattamenti economici a dir poco ingiusti. Credo sia normale, sentendo le cifre milionarie che campioni e bidoni incassano nei tempi moderni - autentiche follie nell’epoca dell’Euro - ripensare a quando trattavamo da “piedi d‘oro” Rivera, Mazzola, Bulgarelli, Riva, Bettega e compagnia bella perché guadagnavano dieci volte l‘operaio, quando adesso i pedatori guadagnano dieci volte quel che incassano illustri tycoon, leader di aziende, padroni del vapore presto svaporati. Incontravo Ezio, di tanto in tanto, e sempre mi ricordava cos’avesse lui, di extra, rispetto al moderato ingaggio spuntato a Arpagone Dall’Ara: un’agenzia della Sai Assicurazioni in via dei Mille e dovevo saperlo perché due giorni dopo lo scudetto ero passato da lui e avevo sottoscritto una polizza vita per dirgli “grazie” delle gioie che mi aveva regalato. Ezio a volte lo incontravo - abitava sopra il
salone - da Viscardo il supertifoso, quello delle automobili, quello - soprattutto - di Agaunar, il capolavoro di Odoardo Baldi, “la splendida saura - leggo e trascrivo appartenente al bolognese Viscardo Giuliani, passata alla storia per aver sconfitto la campionessa francese Roquepine”. A parte la routine del campo, dove mi presentavo spesso per Stadio, Ezio non si allenava, giocava un‘eterna partita. Una volta il severo tutore dello stadio, ragionier Pini, consentí un allenamento speciale con pubblico lí, non al solito antistadio, e Pascutti quasi menò un ragazzotto della Primavera che per fare lo sborone gli aveva tolto un pallone sfiorandogli la caviglia. Apriti cielo, arrivarono anche i carabinieri.
Il top di quei sorrisi perfidi me l’offrí quando Angiolino Schiavio, convocato in veste di Angelo Custode, impedí che il “Tamburino” fosse ceduto all’Inter la stagione dopo lo scudetto: Allodi mi pregò di far sapere al Bologna che il Mago voleva a tutti i costi quel fenomeno volante con la testa da gol immortalato da quella foto con Burgnich e in cambio offrivano tanti soldi e un ragazzo prelevato a Leggiuno, tale Riva Gigi. Il Bologna si sarebbe rafforzato a dovere, Ezio avrebbe finalmente ricevuto un ricco ingaggio col quale pensare alla pensione, visto che le gambe - le ginocchia - già avevano problemi. Cos’era successo? Avevo parlato della richiesta di Allodi con Bardelli, in trasferta nel Nord Europa con la Nazionale, e mi aveva dato precisi ordini: informare il Bologna e chiedere lumi a Schiavio. Il Bologna finse di doverci pensare e in realtà stava trattando anche le cessione di Haller. Schiavio disse no, titolone “Giù le mani dal Tamburino”. Che dopo poco tempo, carico di ferite come un eroe di guerra e scarico di denaro, si ritirò per sempre smoccolando. Lipperlí ce l’aveva con me, poi mi perdonò. Con un sorriso vero. Un po’ mesto.