Coni, è scontro sulla riforma «Pronti a scendere in piazza»
Le fughe in avanti, i depotenziamenti e alcune dimenticanze: le critiche al testo Malagò: «Siamo tutti uniti». Intanto si è dimesso Magini del Pentathlon moderno
Lo sport e il governo non erano mai arrivati a uno scontro così duro. «Siamo disposti a scendere in piazza, questa riforma è un obbrobrio. Siamo tutti uniti» fanno sapere alcuni presidenti delle federazioni che, dopo tante diatribe nel corso degli anni, si ritrovano a giocare inaspettatamente la stessa partita stringendosi attorno al numero uno del Coni, Giovanni Malagò. L’attacco al ministro Spadafora è di un’intensità mai registrata prima. Ieri si è riunito un consiglio informale che ha analizzato e integrato ulteriormente il documento di 200 pagine nato per fare a pezzi la riforma voluta dal titolare del dicastero.
CONTRASTI. A chi lo sport lo amministra non piacciono tante cose: la confusione generata dalle troppe bozze circolate, la mancanza di rappresentanza delle federazioni nella consulta della promozione, l’ingerenza del nuovo dipartimento che gestirà i fondi e controllerà a 360 gradi l’intera attività, il depotenziamento del Coni (che teme sanzioni del Cio), il costo (ritenuto eccessivo) del lavoro sportivo e del professionismo al femminile, l’abolizione del vincolo e il limite dei mandati (nell’ultima versione sono 3 per i capi delle federazioni e 3, ma non consecutivi, per il presidente del Coni).
LE DUE BATTAGLIE. «Si rimane basiti nel vedere che dello sport formativo scolastico non c'è traccia - si legge nel documento - il cambiamento è fatto per creare divisioni e ispirato a logiche staliniste». «È la cancellazione del modello italiano che porta successi e medaglie», sono alcune delle annotazioni, scritte nero su bianco. La battaglia si combatte su due fronti: sportivo e politico. Lunedì si prevedono scintille anche nell’incontro di maggioranza convocato dal ministro che a inizio agosto minacciò di dimettersi dopo le critiche mosse dai membri del suo partito, il Movimento 5 Stelle. I colleghi non gradiscono «la fuga in avanti di Spadafora» reo, secondo il loro punto di vista, di aver stravolto la legge delega che ispirava la riforma soprattutto in merito al ruolo di Sport e Salute, la società pubblica che l’esecutivo gialloverde mise al centro del suo disegno. Mercoledì 23 settembre l’argomento tornerà d’attualità nella giunta e nel consiglio del Coni, questa volta entrambi "formali", che dovranno votare il documento e commentarlo pubblicamente.
LE CARICHE. Più di qualcuno ha giocato d’anticipo sulle elezioni: 7 federazioni sono andate al voto, tra cui il nuoto che ha confermato Barelli (in carica dal 2000), sul quale Spadafora si era scagliato il 10 settembre definendolo come il capofila «dell’ultima casta di baroni che si sente intoccabile e che sta resistendo con le unghie e con i denti al tentativo di riforma». Giorgio Scarso, guida della Federscherma dal 2005, ha scelto un’altra strada: «Non mi ricandido - ha confermato in consiglio - La porta la chiudo io, non me la faccio chiudere dagli altri». Anche atleti e tecnici ieri si sono dichiarati «molto critici». In queste ore, nel frattempo, si è dimesso Valter Magini, numero uno della Federazione italiana pentathlon moderno (Fipm). Malagò ha proposto come commissario il professor Fabio Pigozzi, ex membro del Comitato Esecutivo della Fipm e oggi presidente della Federazione Internazionale di Medicina dello Sport.
IL PERCORSO. Fonti vicine al ministro fanno comunque sapere che l’obiettivo è portare il testo unico in Consiglio dei ministri entro la fine del mese, così da avviare il complesso processo di approvazioni che dovrà passare anche dai pareri della conferenza Stato-regioni, delle commissioni consultive, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. Il premier Conte osserva con preoccupazione il terremoto politico-mediatico che si sta scatenando nello sport, anche se Spadafora continua a rassicurarlo sulla capacità di questa riforma di resistere alla bufera.