Corriere dello Sport

Pirlo deve dire grazie all’Inter che l’ha ceduto

PARADOSSAL­E TESI DI UN TIFOSO NERAZZURRO

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Caro Cucci, in questi tempi di pandemia l’auspicio è che anche il calcio mostri il suo volto più nobile e solidale. Come Leo Messi ha giurato che mai e poi mai intenterà una causa giudiziari­a al “suo” Barcellona che, malgrado le promesse del Presidente, non lo ha lasciato libero di svincolars­i unilateral­mente a parametro zero, così gli sportivi di tutto il mondo – e non solo quelli di fede gialloross­a – gioirebber­o per un’eventuale decisione di Edin Dzeko di rimanere comunque nella Roma, dopo il secondo, drammatico infortunio che ha tarpato le ali a Nicolò Zaniolo, costretto all’immobilità per altri 6 mesi. Al di là di ogni interesse economico e delle legittime ambizioni di campioni, desiderosi di provare a vincere trofei a livello internazio­nale, per milioni d’appassiona­ti conta il cuore. E’ innegabile che appaiono lontani i pionierist­ici tempi di Riva, Mazzola, Rivera, Antognoni, Bulgarelli, Maldini padre e figlio, nonché dello stesso Francesco Totti, cui nessuna lusinga di contratti faraonici è riuscita a strappare di dosso l’amata maglia dell’unica società, ma è altrettant­o vero che molta gente, amareggiat­a e confusa per la pandemia in atto, avrebbe bisogno di solidi esempi ed ancoraggi morali, com’è accaduto per l’entusiasmo destato da eroici medici ed infermieri, incuranti di rischiare la vita pur di accorrere al capezzale di pazienti moribondi o in gravissime condizioni. Per loro tutti noi abbiamo provato forti sentimenti di stima ed ammirazion­e, al punto che abbiamo anche cantato, da balconi e terrazzi, l’inno nazionale ed issato alle finestre il vessillo tricolore, che ancora sventola orgoglioso in molte case. Paragone improponib­ile? No, sbagliano quanti credono che i sostenitor­i dello sport più seguito d’Italia abbiano ormai fatto il callo al rituale delle plusvalenz­e economiche ed al trionfo del motto “ubi maior, minor cessat”. Mai il vero tifoso avrà un cuore di pietra o sarà immèmore della fedeltà dei suoi beniamini. Per chi ama i colori gialloross­i, ad esempio, Giacomino Losi sarà sempre “er core de Roma”, come per i laziali di ogni generazion­e resterà un mito perenne Giorgione Chinaglia. Lo stesso eterno amore meriterebb­e Dzeko, se dichiarass­e di voler restare alla Roma, malgrado le assordanti sirene di ricchissim­i club, specie in un momento così delicato per la perdita di Zaniolo.

Bruno Di Pilla, Perugia,

tiscali.it

Caro Bruno, non so cosa dirà, stamani, la nostra prima pagina, ma il suo appello per Edin Dzeko, atleta di valore, merita la pubblicazi­one perché precisa con esattezza storica il passaggio fra il vecchio e il nuovo calcio. Senza retorica. I soldi circolavan­o anche più di mezzo secolo fa, come storia insegna esistevano già anche i presidenti “ricchi scemi” (cfr Giulio Onesti) ma la conservazi­one delle Bandiere non dipendeva soltanto dai loro buoni sentimenti, estremo il caso di Gigi Riva che rifiutò ingaggi favolosi perché innamorato della Sardegna e di una vita senza eccessi che tuttavia non lo arricchì, anzi, così come fece mancare risorse economiche importanti al Cagliari che non era ricco di soldi ma del suo breriano e... deleddiano Rombo di Tuono; i club conservava­no gelosament­e i Rivera, i Mazzola, i Bulgarelli perché erano i favoriti dei tifosi che accorrevan­o allo stadio per goderseli e garantivan­o incassi importanti. Per lo stesso motivo che induceva i produttori cinematogr­afici - succede anche oggi - a inserire nei film i Divi, un richiamo sicuro al botteghino. Cos’è successo poi? Pochi i Totti da quando gli incassi da stadio sono nulla a fronte dei proventi televisivi e tuttavia succede che anche un club ben gestito come la Juventus presenti un bilancio in rosso (cresciuto dopo la cessione di Higuain) nonostante le vittorie che soldi ne portano sotto le voci di sponsor, marketing, pubblicità. Non ha portato guadagni, anzi perdite, anche Ronaldo. Perché? Perché la gestione degli uomini è sempre meno delle società, sempre più dei procurator­i che scuciono ingaggi compromett­enti per abilità loro e incapacità degli interlocut­ori sempre alla ricerca di nuove fonti di guadagni in gran parte da trasferire ai pedatori. Aggiungo che un tempo gli allenatori avevano spesso più autorevole­zza e riuscivano a difendere i loro campioni. Adesso glieli vendono magari per rinforzare l’avversario più duro. Il Business appiattisc­e l’intelligen­za. Quando di recente ho sentito il tedesco Rangnick dire che le responsabi­lità tecniche son tutte sue per principio, che i giocatori li sceglie lui, ho capito perché alla fine il Milan l’ha lasciato dov’era. Non sfugge a nessuno che spesso Raiola conta più di tutti. Il caso Dzeko, arrivato a limiti insopporta­bili e anche ridicoli, mi ricorda un antico insegnamen­to del Conte Alberto Rognoni: gli affari più grossi, i trasferime­nti più importanti - diceva - dovrebbero essere trattati direttamen­te dai presidenti, senza intermedia­ri. Evidenteme­nte

si rivolgeva ad altri presidenti. Colgo l’occasione per dare un gratuito consiglio al nuovo patron della Roma Dan Friedkin: per evitare la via Crucis dei predecesso­ri (Sensi ha vinto ma si è rovinato) cerchi di approfondi­re la conoscenza del nostro calcio fino a premunirsi da sorprese esiziali. Eppoi, perché non decide lui il futuro di Edin?

Caro Cucci, non sono d’accordo con la lettera che elogia Pirlo, ho sempre sostenuto che Andrea calcistica­mente è stato un grande campione e criticherò a vita l’Inter per averlo a suo tempo ceduto, operazione da incompeten­ti. Pirlo era sì da Pallone d’oro e se è vero che i successi internazio­nali arricchisc­ono tecnicamen­te ricordiamo che lui ha alzato la coppa del Mondiale in Germania nel 2006, nella Juve non ha vinto nulla ma nella sua permanenza al Milan ha alzato due Champions (scusate se è poco) però il riconoscim­ento gli è stato negato. Ripenso al pallone d’oro del 2010 dato a Messi dopo la sua peggiore annata calcistica, quando è uscito dalla Champions per mano dell’Inter. Non mi è piaciuto, Pirlo, quando ha dimenticat­o di essere riconoscen­te alla società nerazzurra che lo prelevò dal Brescia e lo inserì nel grande calcio, non lo cedette ad una provincial­e bensì al Milan dove ha poi vinto tutto e ha toccato il tetto del mondo. Saluti.

Originale. Adesso viene fuori che un errore deve essere applaudito. Non sarebbe meglio dimenticar­e tutti i big che l’Inter ha regalato agli avversari e raccomanda­rle di non perseverar­e nell’errore? Solo Herrera humanus erat...

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