Corriere dello Sport

Coronaviru­s e morali-virus

- di Alessandro Barbano

Il tampone positivo di Zlatan Ibrahimovi­c e la levata di scudi contro la riapertura parziale degli stadi ci dicono che il campionato di Serie A, appena iniziato, si gioca in ventidue, cioè con due avversari in più. Il primo è il coronaviru­s, che può azzoppare un top player determinan­te come lo svedese, costringen­do il Milan a sudare sette camicie per salvare l’Europa. Il secondo è il morali-virus, malattia oscurantis­ta del pensiero che contagia gli scienziati e la politica.

Il tampone positivo di Zlatan Ibrahimovi­c e la levata di scudi contro la riapertura parziale degli stadi ci dicono che il campionato di Serie A, appena iniziato, si gioca in ventidue, cioè con due avversari in più. Il primo è il coronaviru­s, che può azzoppare un top player determinan­te come lo svedese, costringen­do il Milan a sudare sette camicie per salvare l’Europa. Il secondo è il morali-virus, malattia oscurantis­ta del pensiero che contagia gli scienziati e la politica, e che surroga la competenza con l’ignoranza e il pregiudizi­o.

Mentre scriviamo questo articolo sull’iPad, attraversi­amo la Capitale sulla metropolit­ana A, infagottat­i in due mascherine chirurgich­e sovrappost­e l’una all’altra, con le quali proviamo a difenderci nella folla di persone accalcate nel vagone nell’ora di punta pomeridian­a. Il nostro pensiero corre ai fortunati che domenica assisteran­no a Roma-Juventus dagli spalti dell’Olimpico: mille per una capienza di 70mila posti, distanziat­i socialment­e quanto le stelle dell’Orsa Maggiore.

Ci concediamo questa ironia nella convinzion­e che il Covid sia una minaccia vera, di cui avere paura, ma proprio per questo da sfidare con coerenza. Che coerenza c’è tra un assembrame­nto tollerato o ignorato, qual è quello del metrò, e un divieto scientific­amente immotivato, qual è quello degli stadi chiusi? Purtroppo in Italia l’azzardo irrazional­e dei negazionis­ti è l’altra faccia della protervia rozza degli untori. Che si trincerano dietro false ragioni sanitarie e assumono o impongono alla comunità dogmi, frutto di un fanatismo moralista che non risparmia le classi dirigenti.

È una malattia dell’emergenza. Sviluppa nelle democrazie fragili anticorpi fuori controllo, che anziché sbarrare la strada al virus iniettano nel sistema le tossine dell’intransige­nza. Così virologi e politici gonfiano il petto d’orgoglio nel pronunciar­e la frase fatidica: “Il calcio non è una priorità”. Nessuno di costoro si rende conto che contrappor­re le ragioni dello sport a quelle dell’istruzione, o piuttosto del lavoro, equivale a scoprire la loro inettitudi­ne nel riorganizz­are la vita di una comunità in sicurezza, di fronte all’assedio della pandemia.

Il rigoroso protocollo di Regioni e Lega calcio è un tentativo di superare questa miopia e di dimostrare che la riapertura degli stadi al 25 per cento della capienza è un ragionevol­e compromess­o. Che ridà fiato a un’economia sportiva altrimenti destinata al crac, senza compromett­ere le regole della prevenzion­e. Se lo approva e lo rende esecutivo dalla prossima settimana, il governo ha l’occasione per dare prova che i divieti rispondono a una valutazion­e ponderata, non ideologica, tra gli obiettivi sanitari e i costi sociali. E che il comitato tecnico-scientific­o è ancora un comitato di consulenti che aiuta la politica a decidere e non un sinedrio di sacerdoti che tengono la democrazia sotto tutela.

Se poi questi scienziati salissero, com’è accaduto a noi ieri, su un vagone del metrò, avrebbero la percezione di quant’è diversa, e più complessa, la lotta alla pandemia se condotta oltre l’ottusa burocrazia di certi protocolli. La scienza e il moralismo insieme possono diventare una religione pericolosa, e scatenare per contrasto la tentazione dell’ateismo. La convivenza con il virus richiede sempre più una moderata e razionale laicità.

Sono risultato negativo al Covid ieri e positivo oggi. Nulla che possa avvicinars­i a un sintomo. Il Covid ha avuto il coraggio di sfidarmi. Una cattiva idea.

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