Trincea Serie A così il calcio sfida l’epidemia
I casi aumentano, la preoccupazione no La strategia è evitare il più possibile i rinvii di gare e considerare le positività come semplici infortuni C’è un piano B, che però rimane nel cassetto
Perfino parlare di piano di riserva è diventato inopportuno. Ed è comprensibile, anche se una formula da applicare nel caso in cui l’allerta si trasformasse in emergenza è in preparazione: il famoso campionato in tre fasi di cui ha parlato al nostro giornale il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, e che potrebbe diventare in futuro la base di una riforma strutturale della Serie A. Ma oggi come oggi l’aumento dei giocatori positivi al virus è da considerarsi fisiologico e sotto controllo. Né basta a far cambiare gli umori il fatto che il contagio abbia colpito un personaggio della statura di Zlatan Ibrahimovic. Su questo Figc e Lega sono d’accordo ed è già un fatto insolito.
In realtà dei circa 660 giocatori che compongono al momento le squadre del torneo maggiore almeno 25 si sono dovuti fermare a causa di un tampone positivo da quando è stata ripresa la preparazione. Non sono pochissimi, a questo punto dell’annata: il 3,8%. Però sono distribuiti in maniera piuttosto diluita tra le varie formazioni e la gran parte di loro ha già superato il problema e ha ripreso ad allenarsi regolarmente, se non a giocare. Bisognerebbe aggiungere l’allenatore Mihajlovic, Pjanic già trasferito dalla Juve al Barcellona e due Primavera della Roma. Ma insomma, sino a questo momento nessuna squadra ha dovuto chiudere la saracinesca a causa del virus Covid. I controlli vengono reiterati ogni quattro giorni, i positivi vengono subito isolati, molto difficile che un asintomatico vada in giro per il centro sportivo a seminare microrganismi patogeni.
Il sistema insomma sembra funzionare, le aziende sanitarie locali collaborano con i club, il campionato appena cominciato va avanti e non c’è nessuna intenzione di fermarlo. Neanche di trasformarlo in qualcosa di diverso dal previsto. Salvo che non accada qualcosa di davvero inquietante a livello nazionale, ma in tal caso la Serie A non sarebbe in cima alla lista dei nostri problemi. Non c’è motivo di pensare che accada e non è neppure igienico farlo.
I protocolli che hanno consentito la ripartenza della scorsa stagione e l’inizio di questa non prevedono livelli diversificati di allarme. Non esiste un numero massimo di giocatori positivi in una squadra oltre il quale diventi obbligatorio il rinvio della partita. L’idea da cui ci si muove è che i positivi vanno considerati alla stregua di normali infortunati: ciascuna società deve gestire le proprie assenze. Per l’Uefa, a titolo di esempio, basta che una formazione conti su 13 effettivi perché la gara possa regolarmente disputarsi. Ovvio che se si raggiungessero simili dimensioni di diffusione saremmo ben oltre un limite da lockdown generalizzato.
Non c’è però neppure un’idiosincrasia ideologica per il rinvio di partite che si presentassero eccessivamente a rischio. Il problema è la carenza di date per i recuperi. Gli incastri reggono se a essere coinvolti da ipotetiche modifiche al calendario sono club che non disputano le coppe europee. Gli slot si trovano. Per le altre, ricavare spazi diventa un rompicapo: bisogna chiudere il 23 maggio (ed è già tardi) sperando in un Europeo senza problemi, ci sono cinque turni infrasettimanali che non contribuiscono alla fluidità del traffico, inoltre è prevista la sosta di Natale dal 23 dicembre al 3 gennaio.
Tutte questioni su cui gli organismi competenti hanno riflettuto, non crediate il contrario. Ma con una certa tranquillità. In questa fase il calcio, compatto, sta lavorando per la riapertura parziale degli stadi ai tifosi. Angosciarsi per alcuni positivi in più e per numeri ampiamente messi in preventivo non avrebbe senso. Sarebbe un banale, immotivato e deleterio attacco di panico.
Solo un lockdown generale porterebbe alla sospensione del campionato
Sarebbe difficile gestire i recuperi per i club impegnati nelle coppe europee