«PERUGIA, NIENTE SCONTI»
De Cecco: «Un pro’ deve sempre guardare avanti. Qui mi sono ambientato grazie allo spagnolo»
Lube, Sir Safety, la Supercoppa e lui, Luciano De Cecco, in mezzo a un singolare incrocio e all’altrettanto singolare moltitudine dei numeri primi. Perché si parla del primo trofeo vinto da Perugia e alzato - a Civitanova - con lui capitano nel 2017; perché è al suo primo anno nelle Marche e alla sua prima finale di una competizione coi cucinieri, che lo vedrà anche per la prima volta nelle vesti di ex in una partita che mette in palio un titolo.
Qual è la sensazione prevalente nel contendere alla tua ex squadra il primo titolo della stagione? «Nessuna in particolare. Il passato e i ricordi fanno parte di noi, e sono qualcosa di intimo e personale. Essere professionista significa guardare avanti e fare l’interesse esclusivo di chi punta su di te per costruire qualcosa di importante. E significa dare il massimo per vincere, sempre, senza fare sconti. Ed è quello che voglio fare qui a Civitanova».
Dopo aver firmato per la Lube ha detto “Arrivo a Civitanova, che è una piccola Cuba”. Com’è stato l’impatto con i tanti giocatori caraibici che vestono il biancorosso e con la città?
«Molto buono. Il fatto di comunicare nella stessa lingua madre ci ha sicuramente agevolato. Più che altro facciamo diventare matti gli altri compagni di squadra perché talvolta ci capita di farlo durante la partita, e non capiscono. Però qualcuno sta cominciando a imparare. Invece la città con il suo mare, che a me piace molto, me la sono goduta poco. Ci sarà modo di farlo, con calma, e trovare quei punti di riferimento che in una nuova realtà ti aiutano a vivere sempre meglio, giorno dopo giorno».
Ed i progressi nel linguaggio pallavolistico?
«Fare il palleggiatore significa adattarsi, dare un’impronta alla squadra cercando di sfruttare al meglio le potenzialità dei tuoi compagni, che ti può portare a sviluppare quindi un tipo di gioco diverso rispetto al passato. Ma è chiaro che l’intesa si migliora lavorando in palestra e crescendo di partita in partita, e per rodare certi meccanismi serve tempo».
Però una finale è indubbiamente un bel modo di cominciare questo percorso…
«Quando vesti la maglia di un top team, ambizioso e con una bacheca piena di trofei, la finale diventa quasi una consuetudine, un appuntamento ricorrente. E invece non bisogna mai darla per scontata, perché è sempre necessario lottare per conquistarsela, come è capitato nelle due sfide con Trento in cui siamo stati in campo per undici set prima di poter arrivare a Verona. Ecco, il segreto è proprio continuare a essere affamati, a non accontentarsi mai: si pensa una partita alla volta, questo sì, ma la mentalità che fa la differenza è quella che ti porta a guardare velocemente oltre una vittoria, a ricominciare a lavorare subito per gettare le basi di un altro successo. E questa mentalità la si allena vincendo, sempre: ecco perché secondo me non esistono trofei più o meno importanti, specie in Italia dove il livello è altissimo, in ogni partita».
Questi giorni di Coppa, antipasto dell’avvio di regular season in SuperLega, hanno già dato un assaggio della qualità e dell’equilibrio che caratterizzerà il prossimo campionato?
«Non saprei dirlo, fare valutazioni è prematuro. Però si capisce che la sinergia in squadra, la fluidità nel gioco ora come ora è qualcosa di altalenante, che accomuna tutte le formazioni. E questo all’inizio non fotografa bene i rapporti di forza. Nel senso che si ragiona “sulla carta”, ma poi il campo - a volte - dice altro».