Ma non è solo colpa dei calciatori
Lo stile di vita delle stelle al centro dell’attenzione per un focolaio che può accadere ovunque Perin positivo «nel giorno di riposo», così è partita la solita vecchia morale
Abbiamo alcune passioni, noi italiani. Quella per il balcone, ad esempio, come testimoniano politici di ieri e di oggi. E poi quella per la Colonna Infame. Questo nostro vizio cade a fagiuolo per il nostro caso, cioè il Covid e il calcio, perché il saggio storico di Alessandro Manzoni riguarda proprio il processo a due untori (ognuno ha la sua peste) giustiziati sulla pubblica piazza ma che, poi, risultarono innocenti. Il grido «dalli all’untore», risuona anche oggi sulla pubblica piazza mediatica indirizzato ai calciatori, verso il mucchio e verso il singolo, in questa circostanza il portiere genoano Mattia Perin, reo di aver contratto il virus «nel suo giorno di riposo» e di averlo tramesso a metà della rosa del Genoa. La sottolineatura «nel suo giorno di riposo» è particolarmente perfida: rimanda all’idea che, nel giorno di riposo, il calciatore bello (ma anche no) e famoso faccia chissà che cosa.
Quest’estate, quando dalla Sardegna il Covid tornò a farsi sentire, anche noi chiedemmo più attenzione, più responsabilità. Ma senza demonizzare la figura del
“calciatore”, senza cadere nel solito moralismo d’accatto, nella facile equazione calciatore uguale perdigiorno, o meglio perdinotte. Nell’idea che con il successo arrivi anche la vita spericolata, la spavalderia, l’arroganza. Succede, eh, ma dalla Sardegna, dalla Croazia o da Capri, non sono tornati con il Covid solo i calciatori ma anche studenti, impiegati, imprenditori. Sono il primo a convenire che molti calciatori, non solo i (più) ricchi e i (più) famosi, vivano spesso ai confini della realtà, se non in una realtà alternativa, dove la distanza dalle responsabilità e dai problemi degli umani è siderale. Molti hanno condotto e conducono una vita allegra (eufemismo), spesso al limite, di sicuro di velocità, visto le molte auto che sfasciano. Insomma, sappiamo di chi parliamo, ma non facciamo prediche, perché non c’è nulla di più irritante del solito, banale sermone ai calciatori giovani, ricchi e viziati. C’è stato un focolaio nel calcio, come può succedere ovunque. A meno che non si ritorni al lockdown, possiamo solo invitare tutti a essere attenti e rispettosi. Tutti. L’altro giorno al supermercato, dietro di me in coda alla cassa c’era una persona senza mascherina. Non era un calciatore, ma una signora dei cinquant’anni. Il cassiere le ha detto che non sarebbe dovuta entrare, ma non le ha fatto una predica. Volevo abbracciarlo, ma non è permesso.
Da Sardegna e Ibiza tornati con il virus anche imprenditori, studenti e impiegati