Corriere dello Sport

Ci preoccupia­mo del comportame­nto dei giocatori, delle società disattente, ma c’è bisogno di prudenza non solo per il campionato AGGIORNIAM­OCI: VINCERE È IMPORTANTE, MA VIVERE È L’UNICA COSA CHE CONTA

- Di Italo Cucci

Caro Cucci, buon giorno e... speriamo, buon campionato! In questi giorni di pandemia per il calcio si sta dipanando una matassa abbastanza imbrogliat­a. Non voglio accusare i calciatori di colpevole leggerezza come qualcuno ha fatto e tuttavia... leggo su Stadio un paragrafo che recita: «Da Sardegna e Ibiza tornati con il virus anche imprendito­ri, studenti e impiegati». D’accordo che non si sono contagiati solo calciatori e loro accompagna­tori, ma si dà il caso che per questa categoria di persone dovrebbe essere attuata una sorveglian­za dieci volte maggiore rispetto... ai comuni mortali. Così, tanto per andare a vicende vicinissim­e neltempo,riandiamoc­onilpensie­ro a come sono trascorsi nel rigoroso rispetto delle regole i due mesi nei quali abbiamo giocato una sfilza di partite senza che si registrass­e un ko qualsiasi, tutto regolare e le società si sono fatte in quattro per quanto riguarda la sorveglian­za più rigorosa: perché ora no? Perché ora i calciatori sono stati liberi di viaggiare a destra e a manca, folleggian­do qua e là senza che venisse applicato il massimo rigore, a pochi giorni dall’inizio del campionato 2020/2021? (...) E’ chiaro che in questa situazione c’è tutto il pianeta e, anzi, noi italiani stiamo (almeno per ora e facendo i debiti scongiuri) molto meglio di tantissime altre nazioni, ma ciò non toglie che mi sembri giusto richiamare l’attenzione di chi gestisce i giochi ad una più scrupolosa linea di condotta in simili frangenti.

Mio padre, classe 1900, mi raccontò più volte la sconvolgen­te storia della Spagnola, la grande influenza che fra il 1918 e il 1920 uccise decine di milioni di persone nel mondo. Fu la prima delle pandemie del XX secolo che arrivò a infettare circa 500 milioni di persone in tutto il mondo, provocando la morte di 50 milioni di persone su una popolazion­e mondiale di circa 2 miliardi. Se l’era cavata, mio padre, perché quella terribile peste fece strage di poveri e di reduci dalle guerre, lui era un ragazzo di buona famiglia (in tempi in cui la definizion­e corrispond­eva alla realtà) e tuttavia si prese il tifo suscitato in Europa dalla pandemia. Non solo, anche oggi si prevede che il Coronaviru­s provocherà danni fisici permanenti ai contagiati, in particolar­e un invecchiam­ento precoce, così come la Spagnola ridusse l’aspettativ­a di vita dei contempora­nei di dodici anni. Se Dio vuole viviamo in un’altra epoca, tant’è vero che proprio noi italiani siamo tra i più longevi del mondo. Tutto questo vuol dire ch’è ancora più necessaria molta prudenza negli atti quotidiani; nonostante un secolo di vita ci abbia dotato di una sanità avanzata e di strumenti per combattere con un certo successo perfino la peste dell’Aids, evitiamo di illuderci che il progresso tecnologic­o ci abbia fornito anche una sorta di immunità; e che la pandemia riguardi solo i vecchi: in sette mesi è cambiato tutto, oggi muoiono anche i giovani. La prudenza e il rispetto delle norme imposte da tanti decreti non riguardano categorie più o meno privilegia­te come i calciatori: riguardano tutti noi. La cosa più importante, di questi tempi, non è vincere ma vivere.

Roberto Speranza in America sarebbe Bob Hope - uno dei più grandi comici hollywoodi­ani - e invece mi sembra il più avveduto e colto dei vari ministri: poche chiacchier­e e i fatti che contano. Capisco, caro interista, la sua sparacchia­ta politica poco lucida, credo le costi molto ammettere che l’Inter potrà incontrare grandi difficoltà con il Real ridimensio­nato mentre la Juve è cosí forte da non dover temere il Barcellona. Evidenteme­nte hanno sbagliato i numerosi critici che attendono con curiosità (e una cert’ansia quelli juventini) il duello Messi-Ronaldo. Il primo vero grande esame per Pirlo. Come dicevano i nonni, il tifo è anche una malattia. squadra a vincere nonostante tutto senza sottolinea­re mali evidenti, senza incorrere nel vittimismo di cui veniamo a volte anche ingiustame­nte accusati. Non diamo alcun alibi. Come sarebbe bello vincere e convincere a Torino contro la Juve senza se e senza ma... Diamo un segnale deciso di consapevol­ezza dei nostri mezzi che in questo campionato non sono assolutame­nte inferiori a nessuno... senza scaramanzi­a.

Come avevo previsto, Conte sta aggiustand­o il tiro. Con insolita serenità e umiltà. Prima il clamoroso e affascinan­te rovesciame­nto del match con la Fiorentina - una rimonta così e con tanti gol giustifica feste - poi l’allegra goleada contro una squadra ben gestita come il Benevento han fatto dire al tecnico dell’Inter che si è divertito. Mi mancava da tempo una dichiarazi­one che impone un cambiament­o radicale allo spirito nerazzurro fino a poco tempi fa definito “di tregua”. Non basta ai tifosi? Che senso ha dichiarars­i “da scudetto” alle prime partite? Lasciatelo fare, a noi, non costa nulla.

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