BOTTI SULL’ETNA NIBALI SORRIDE
Il vulcano ha sconvolto la classifica oltre ogni previsione In crisi due dei favoriti: Thomas perde oltre 11 minuti dai migliori Yates quasi 4. Assolo di Caicedo
Sotto ai campi lavici sembra non ci sia più vita, nessun palpito oltre quel nero cupo della roccia magmatica. Invece succede di tutto, molto di più rispetto alle attese. Il Giro d’Italia già al terzo giorno s’arrampica in cima all’Etna e dal vulcano erutta una tappa scoppiettante, una sequenza di colpi di scena abbinati a un meteo subdolo, tipico dei momenti più epici, e vengono incenerite le speranze di due grandi favoriti, Simon Yates e Geraint Thomas.
Eppure qualcuno trova la forza di lasciare il segno, di sbocciare, come a queste latitudini riescono a fare solo le ginestre gialle, ostinate nel prendere vita tra cumuli di lava. È il caso di Joao Almeida, talento portoghese in maglia rosa a soli 22 anni. È il caso di Vincenzo Nibali, rilanciato da una prestazione di alto livello proprio quando le nubi si addensavano all’orizzonte, proprio laddove alcuni dei rivali più temuti si sono scottati. Ai 1800 metri di Piano Provenzana, versante nord-orientale dell’Etna, le ultime memorie di un’eruzione da far paura risalgono al 2002, quando colate laviche durate oltre tre mesi devastarono il polo turistico e scatenarono terremoti avvertiti in tutta la fascia orientale, da Acireale fino a Giarre. Per il Giro è sbocciata una giornata da tramandare, appena 150 km hanno fatto più danni di una tappa alpina, con i corridori sbalzati dalla calura del weekend ai 6 gradi della salita, tra pioggia e vento contrario. Unica nota stonata, la carenza di mascherine viste sull’ultima ascesa.
A ELIMINAZIONE. Il vulcano non s’intravede nemmeno all’orizzonte quando la tappa fa registrare il primo colpo di scena. Nel tratto di trasferimento del gruppo verso il chilometro zero, prassi quotidiana dopo il rito del ritrovo pre gara, c’è un leggero tratto di discesa in uscita da Enna, i corridori sfilano a tutta e pericolosamente qualche borraccia piomba sull’asfalto. Una di queste, riconoscibile per le tonalità arancione e rosse della Bahrain-McLaren, viene colpita in pieno da Geraint Thomas, favorito principale dopo una cronometro in cui ha dispensato distacchi netti a tutti i rivali: il gallese la centra in pieno, la ruota posteriore scavalla e la bici s’imbizzarrisce finché non lo scaraventa a terra con forza, facendogli picchiare sull’asfalto tutto il lato sinistro del corpo. Soprattutto gomito e spalla. Medicato prima del via, parte come se nulla fosse, ma in preda a dolori atroci (e alla rabbia), tanto che la salita finale non è ancora iniziata e il britannico, a 28 km dall’arrivo, annaspa già nelle retrovie, pedala a stento trainato dalla stazza da corazziere di Filippo Ganna, gregario in maglia rosa dopo giornate di gloria.
Thomas per un momento si riaccoda, poi in salita sprofonda, arrivando a oltre 11 minuti dai migliori, così come sprofonda (senza il minimo preavviso) a 9 km dall’arrivo Simon Yates, altro ex favorito, vincitore della Tirreno-Adriatico appena tre settimane fa. Per lui 4’22’’ di ritardo dal vincitore di tappa, il ventisettenne ecuadoriano Caicedo, presente fin dall’inizio nella fuga a otto nata dopo appena 5 chilometri.
Il gallese colpisce una borraccia prima della partenza, cade e, dolorante, crolla
VISCONTI. In quella fuga c’era anche Visconti, beffato nel testa a testa sulle rampe finali dopo un’azione cuore e coraggio, a 37 anni, proprio nella sua Sicilia. La stessa terra dello Squalo, Vincenzo Nibali, che su una salita familiare ha fiutato l’odore del sangue. Già prima dell’ascesa ha messo a tirare la sua Trek-Segafredo, poi ha controllato, è scattato, ha resistito con i sopravvissuti (Fuglsang, Majka, Pozzovivo, Castroviejo) e a fine tappa si è ritrovato sesto nella generale, a 55’’ dalla rosa. Senza dimenticare che al mattino partiva 31° a 1’29’’. Ribaltone servito, dalla cenere vulcanica è germogliata una speranza tutta nuova.