Corriere dello Sport

Garlasco, Stasi sconta la pena: fine

LA CORTE D’APPELLO RESPINGE LA REVISIONE DEL PROCESSO

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BRESCIA- «Ora speriamo che sia finita davvero», è il commento della madre di Chiara Poggi all’ultima parola possta sul caso-Garlasco. «Come famiglia - spiega Rita Preda - eravamo più scocciati delle altre volte per questo continuo insistere. Sappiamo che è stato fatto di tutto per accertare la verità». Non ci sarà un nuovo processo per Alberto Stasi, condannato a 16 anni di carcere per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007. «Gli elementi fattuali che si vorrebbero provare con le prove nuove non sono stati ritenuti idonei a dimostrare che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, debba essere prosciolto, permanendo la valenza indiziaria di altri numerosi e gravi elementi non toccati dalle prove nuove», ha scritto la Corte d’Appello di Brescia, che ha dichiarato inammissib­ile la richiesta di revisione del processo avanzata dai legali di Stasi. Nell’ordinanza dei giudici bresciani si ricorda che la richiesta si basava su tre elementi di prova, che la difesa riteneva nuovi. Scrive però la Corte, «non sono state ritenute prove nuove in quanto trattasi di elementi noti e già valutati». Sull’alibi di Stasi e sul filmato che dimostrere­bbe che la teste Travain, transitand­o davanti a casa Poggi, poteva effettivam­ente vedere se la portafines­tra della cucina al piano terra della abitazione della vittima fosse o meno aperta e sulla consulenza tecnica che grazie allo studio dei tabulati del telefono della teste e delle celle agganciate scagionere­bbe, per la difesa, Stasi, la Corte scrive: «L’elaborato tecnico dell’ing. Porta non è stato ritenuto dalla Corte prova nuova per le medesime ragioni indicate per la consulenza Ghizzoni e neppure il filmato contenuto nel video allegato alla istanza è stato ritenuto prova nuova perché le condizioni del cancello, la possibilit­à per la teste in transito di vedere la portafines­tra del piano terra, sono circostanz­e valutate dalla Corte di merito, anche sulla scorta di fotografie che riprendeva­no lo stato dei luoghi».

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Chiara Poggi, la vittima

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