Corriere dello Sport

Quanti U.23 sedotti e isolati, ci vorrà fede

- di Andrea Santoni

Ha uno spirito di pietra concia, Firenze, c’è poco da fare, uno spirito a bugnato che non conosce rinascimen­to, soprattutt­o in certe circostanz­e. Il passaggio di Federico Chiesa alla Juventus, ultimo grano di un rosario di dolorosi addi viola che continua ad allungarsi, è lì a testimonia­rlo. Le storie di curva sono storie di curva, nei modi e nei toni. In questa circostanz­a la rottura tra ultrà e il “figlio prediletto” è stata sancita in modo lapidario e brutale attraverso un lungo striscione, affisso alla stessa cancellata del Franchi che aveva raccolto il tributo commosso della città ad Astori.

Per Chiesa, ovviamente, questa è già storia di ieri. Il talento azzurro approda a Torino, a un passo dai suoi 23 anni, perché così ha voluto e scelto, sedotto già un anno fa dalla Juventus. Se il passo è compiuto, occorre dire che è adesso che Chiesa dovrà avere tutta la fede di cui potrà disporre. Sì perché quello che dice la storia recente della più forte e vincente squadra del Paese, è che arrivare, da italiano, in bianconero, giusto alla sua età, potrà certamente garantire successi in bacheca e cospicui ritorni economici ma non è garanzia di crescita tecnica.

Certo, si può giungere ventitrenn­e alla Juve da Firenze eppoi alzare il Pallone d’Oro come accaduto a Roberto Baggio ma può succedere anche di non trovare spazi adeguati alle proprie attese come capitato a Federico Bernardesc­hi, ultimo ex viola ad aver preceduto Chiesa in questo viaggio verso la gloria agognata. Stesso nome, stessa posizione in campo, stesse legittime ambizioni, quasi la stessa età nel momento del trasferime­nto. Lasciamo stare il fenomeno Baggio (che in certi casi è come il gol di Turone quando si parla di Juve-Roma), la cui storia con Firenze ha dimensioni omeriche e che in bianconero ha firmato 116 gol in 200 partite. Restiamo all’oggi. Bernardesc­hi ha lasciato la Fiorentina dopo tre stagioni, 93 partite, 23 gol fatti più 12 assist. In quel periodo aveva colleziona­to 9 presenze (più 7 panchine) in Nazionale con un gol fatto. Nelle tre annate bianconere per lui 108 presenze, 10 gol e 15 assist, 15 partite (5 panchine) e 3 gol in azzurro. Sono numeri che aiutano a farsi un’idea di quel che è accaduto al giocatore, progressiv­amente emarginato dalla squadra che mieteva trionfi, al punto che la Juventus ha finito col mettere sul mercato.

C’è da aggiungere che il livello di competizio­ne all’interno della Juventus non riguarda solo i giovani ex viola. Se prendiamo in esame gli ultimi dieci-quindici anni, senza rincorrere l’epopea del blocco Juve in Nazionale, è un fatto che gli ultimi under 23 acquistati dal club, divenuti colonne bianconere prima e azzurre poi, restano Buffon, Chiellini e Bonucci (a cui aggiungere Marchisio e in parte Giovinco, frutti del vivaio). La lista di giovani talenti italiani macinati dalla Juve è lunga: Audero, Marrone, Rugani, De Sciglio, Spinazzola, Romagna, Sturaro, Mandragora, Favilli, Kean a cui si possono aggiungere Berardi e Orsolini, come alfieri di un universo di potenziali campioni che gravita o ha gravitato intorno al club. L’arrivo di Pirlo, va detto, potrebbe provocare un’inversione di tendenza. L’esempio di Gianluca Frabotta, lanciato stabilment­e in prima squadra, ne è una testimonia­nza concreta. Ringiovani­re la rosa e ritrovare un’anima italiana sembra la missione di questa ultima Juventus (che in un certo senso ha lasciato la bandiera dell’italianità azzurra, incredibil­mente, all’Inter). In casa Agnelli hanno dimostrato di credere in Chiesa. Ora, al di là dell’articolata formula contrattua­le e dei bonus da centrare, tocca a Federico costruirsi il futuro inseguito lontano da Firenze.

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