Il campionissimo e la dama bianca
Fausto Coppi non l’ho conosciuto, l’ho solo visto da lontano, nel 1949 - io dieci anni, lui trenta - mentre correva, e dominava, il Giro di Romagna; di Coppi m’interessava poco e niente, come delle corse in bici, perché preferivo ‘e mutour: le Mille Miglia con le macchine che piombavano a Rimini nella notte e s’infilavano nel Ponte di Tiberio che ne ingigantiva l’urlo. E la Guzzi di Dario Ambrosini. Dopo qualche anno sarei diventato tifoso di Bartali. Citando Jean Paul Sartre tifoso del pallone, posso dire che Bartali per me è la metafora della vita che ho vissuto. Coppi l’alternativa che tuttavia non mi ha tentato facendomi fermare all’ammirazione, fatto del tutto estetico. Fausto aveva una sua linea, un’eleganza naturale. Era un campione moderno.
Vale la pena ricordare che a quei tempi le cronache sportive facevano letteratura, si avvalevano spesso di firme eccellenti: a Coppi, a Bartali, alle corse, dedicarono pagine appassionate Alfonso Gatto, Orio Vergani, Dino Buzzati, Manlio Cancogni, Italo Calvino, Indro Montanelli, Gianni Brera, Luigi Chierici, Giuseppe Ambrosini, Ruggero Radice detto Raro, Remo Roveri, Giorgio Fattori, Bruno Raschi, Beppe Pegolotti, Mario Fossati, raggiunti in volata da Sergio Neri, gian Paolo Ormezzano, Gianni Ranieri, Dante Ronchi,