Zenga e il divorzio oltre le ipocrisie
Le sofferenze private – in quanto, appunto, sofferenze – vanno sempre trattate con rispetto e delicatezza, e anche i personaggi più esposti pubblicamente hanno diritto a uno spazio intimo, a uno spazio privato inviolabile.
Le sofferenze private - in quanto, appunto, sofferenze - vanno sempre trattate con rispetto e delicatezza, e anche i personaggi più esposti pubblicamente hanno diritto a uno spazio intimo, a uno spazio privato inviolabile. Ma quando si è personaggi pubblici è inevitabile che anche lo spazio più nascosto venga illuminato dal sistema mediatico, e questo fa parte degli oneri che pesano sull’onore di essere famosi.
Come ormai è risaputo, Walter Zenga che ha avuto una vita sentimentale travagliata, avendo alle spalle tre matrimoni e cinque figli da tre mo- gli differenti - ha comunicato pubblicamente di essere in procinto di divorziare da Raluca Rebedea, sua terza moglie. Zenga ha deciso di comunicare personalmente la notizia, ma il testo che ha scritto ha scatenato un putiferio, perché, dopo aver affermato di non riconoscere più la donna che gli è stata accanto per quattrodici anni, a un certo punto ha scritto una frase spudoratamente maschilista: «La libertà che le ho sempre dato si è in qualche modo rivoltata contro di noi».
Non appena sono scoppiate le polemiche, Zenga ha giustamente eliminato il post, evidentemente consapevole di aver scritto di getto un pensiero sbagliato, perché nessun uomo può concedere la libertà a una donna. E dunque bene stanno facendo quanti con garbo - gli insulti offensivi sono sbagliati quanto gli errori che s’insultano - stanno facendo notare al nostro leggendario portiere e allenatore che la libertà di una donna non è una concessione, ma un diritto.
Tuttavia, con un ingenuo moto di pancia, Zenga ha detto qualcosa che è molto radicato nel nostro comune sentire, e che sarebbe ipocrita negare per ossequio al politicamente corretto. Quando nasce un amore, e poi l’amore diventa coppia, e la coppia famiglia, è inevitabile darsi dei ruoli, e risentire concretamente di mentalità passate, di passate concezioni familiari. Chi accudisce i figli? Chi lava i panni? Chi stira? Chi può assentarsi maggiormente per ragioni lavorative? La modernità sta lentamente affermando un principio di parità, e questo è sacrosanto; ma indubbiamente il tema della differenza tra uomo e donna non può essere risolto in pochi secondi con un colpo d’ascia. Altrimenti il rischio è, appunto, l’ipocrisia.
L’uomo tende ancora ad avere atteggiamenti protettivi e paternalistici nei confronti della donna amata, e se da un lato quest’atteggiamento è il riflesso di antiche concezioni patriarcali, dall’altro corrisponde molto spesso a un altrettanto antico riflesso arcaico della donna, che ancora sente il bisogno ancestrale di riconoscere una forza protettrice nell’uomo. Questo crea equilibri intimi che giudicare è facile, ma che sono molto più complicati dei nostri giudizi sommari. Frasi come “sono tua”, “ho bisogno di te”, “senza di te muoio” - frasi da far tremare i polsi - danno inevitabilmente la sensazione all’uomo di avere un potere sulla donna - e viceversa. Insomma, in amore il sentimento del possesso e del dominio, per quanto deprecabile, è ancora vivo nella nostra mentalità amorosa e familiare. E non sarà certo la nostra generazione e quella di Zenga a realizzare quell’amore laico e privo di lati oscuri e vischiosi che in molti auspicano.