“Bolla Topolino” così la Nba sta arrivando in porto
MIAMI - Sono ormai tre mesi che la “bolla di Disney” della Nba, costata oltre 170 milioni di dollari, è in funzione (nella foto: LeBron James). E in questo arco di tempo il protocollo messo in atto, descritto in un libro di oltre 100 pagine, si è rivelato un autentico successo con giusto all'inizio un paio di giocatori positivi. Le porte sono state aperte il 7 luglio, accogliendo un totale di 22 squadre (non più di 37 persone per team). La chiusura al massimo martedì (se si arriverà a gara 7 delle finali tra Lakers e Miami). Quarantena iniziale, test anti-virus continui (dall'arrivo fino anche al momento di lasciare la “bubble”), braccialetti e anelli anti-Covid che monitorano distanziamento e parametri fisici, regole ferree (installata anche una hot-line per denunciare anonimamente chi non rispetta le norme), proibito l'arrivo di ospiti fino ad agosto, nessun contatto con i dipendenti degli alberghi e quattro giocatori “espulsi” per non aver rispettato il protocollo. Team ospitati in tre differenti resort, partite giocate all’Espn Wide World of Sports Complex, naturalmente senza pubblico e durante il tempo libero, per tutti, concesso l'uso di campi da golf, piscine, eccetera. Un esperimento ripetibile in altri sport? «Difficile o impossibile - il parere del dottor Harlan Selesnick dello staff medico dei Miami Heat - primo motivo il numero esiguo di atleti rispetto ad altre discipline».