«Era un diamante grezzo ci aiutò Veron a prenderlo»
ROMA - Tare e Lotito lo hanno riportato in Italia per consegnargli l’eredità di Felipe Anderson, Carlo Osti lo scoprì quando il ventenne Joaquin Correa stava esplodendo con l’Estudiantes La Plata. L’ex difensore della Juve, per una stagione (2005/06) dirigente della Lazio, è il direttore sportivo della Sampdoria e ieri ci ha raccontato come la stella della Seleccion arrivò a Genova cinque anni fa, gennaio 2015. «Dejan Vasiliev, un osservatore serbo che all’epoca faceva parte del nostro scouting, era andato in Argentina per seguire la Copa Sudamericana. Si era innamorato di Correa e ogni settimana ci mandava una relazione migliore della precedente. Era incantato, ci convinse ad approfondire. Noi lo guardammo su Wy Scout. Si vedeva il suo talento puro. Un diamante grezzo, ovviamente da aspettare e far crescere. Si doveva formare fisicamente, era ancora ventenne, ma la sua classe era fuori discussione. Ci decidemmo e chiudemmo l’operazione nel giro di una settimana». Otto milioni per convincere l’Estudiantes La Plata. «Trattativa rapida anche per la disponibilità e l’affetto che Veron ha sempre avuto e continua ad avere nei confronti della Sampdoria». Correa in blucerchiato trovò Sinisa Mihajlovic. Poi sarebbero arrivati Zenga e Montella, che lo avrebbe guidato verso la maturazione. Un anno e mezzo giocando accanto a Bergessio, Muriel, Cassano e infine Quagliarella. La Samp incassò 18 milioni dal suo cartellino, spesa interamente recuperata dal Siviglia all’epoca del trasferimento alla Lazio, dove Simone Inzaghi lo sta aiutando a diventare un attaccante completo, più produttivo sotto porta. «Noi avevamo preso un trequartista, un esterno offensivo - ha raccontato Osti - Joaquin sta migliorando, ha tutto per affermarsi come top player ed è anche un ragazzo straordinario. Certo, se devo essere sincero, preferirei non giocasse contro la Samp...».