L’ENIGMA DELLA SIGNORA
Dalla prima finale di Champions di Allegri ad oggi, il centrocampo è andato via via impoverendosi E Pirlo è ancora tutto da scoprire
Domenica sera, mentre guardavamo la Juve che boccheggiava di fronte all’aggressività del Verona, le maglie bianconere che nel proprio stadio soffrivano la personalità di Colley, Vieira e Tameze, c’è tornata in mente la Juve di Cardiff, per l’esattezza il centrocampo di quella Juve. Pirlo regista e davanti al maestro il trio più forte d’Europa di quel periodo: Marchisio, Pogba e Vidal. Avrebbero mai permesso, quei quattro, di farsi sottomettere per un’ora dal Verona? La risposta è certa: no.
DEFICIT A CENTROCAMPO. Se sovrapponiamo quel centrocampo ai quattro centrocampisti a disposizione di Pirlo la differenza tecnica, tattica, mentale, fisica e atletica appare quasi clamorosa. Non vorremmo andare controcorrente, ma dall’anno della prima finale di Champions con Allegri in poi, la Juve a centrocampo non è mai migliorata. Semmai il contrario. E forse è da qui che può iniziare la discussione sulla Juve di oggi, sfortunata nel finale col Verona (tre gol persi per centimetri, le due traverse e la rete di Morata), ma piena di incertezze nel primo tempo come era successo all’Olimpico contro la Roma e anche a Crotone. Tre partite sotto certi aspetti simili indicano comunque un disagio. McKennie,
Bentancur, Arthur e Rabiot, che l’allenatore alterna a coppie alla ricerca di quella ideale, non raggiungono in nessun caso il livello storico dei reparti di centrocampo della Juventus. La difficoltà di imporre il gioco è evidente.
TUTTA DA SCOPRIRE. Più dell’Inter, del Napoli, del Milan e dell’Atalanta, la Juventus ha pagato un precampionato senza amichevoli. Oggi, dopo 5 giornate di A e una di Champions, è ancora da scoprire, come il suo allenatore. Nessuno sa cosa potrà dare Pirlo alla Juventus e in generale al calcio italiano. Il suo credito risale all’epoca in cui illuminava il campo, gli juventini sperano nella trasposizione del suo genio dal manto verde alla panchina, ma il processo appena iniziato è tutto da verificare. La Juve appare oggi come un involucro all’interno del quale vanno ancora trovati i meccanismi. E’ una squadra con buone intenzioni che stenta a trasformare in gioco, con un equilibrio appena accennato che non la rassicura ed è priva di una visione d’insieme. Sembrava facile, per qualcuno, ripristinare attraverso Pirlo, juventino dell’ultima ora, la tradizione interrotta dalla stagione di Sarri ma così non è. Le domande che ci poniamo oggi sulla Juve sono simili a quelle che ci ponevamo nella scorsa stagione.
LADIFFERENZA. L’Inter, pur nella sua
monotonia di gioco, ha una manovra evidente, un marchio sicuro sintetizzabile nel lancio a Lukaku; il Napoli ha una chiara conoscenza di se stesso; l’Atalanta, nonostante gli scivoloni, porta dentro il movimento di Gasperini; il Milan si esprime attraverso la qualità e il carisma di Ibrahimovic. La Juve di Pirlo non si sa e non lo sapremo fin quando non avrà assorbito il talento dei suoi fuoriclasse Dybala e Ronaldo, il primo appena rientrato come titolare, l’altro ancora fermo per il Covid. Allora sarà tutto più chiaro, la Juve avrà un’idea, un’immagine, una dimensione e potremo giudicare un prodotto e non qualcosa di abbozzato. Oggi sappiamo cosa “non” è la Juve: non è una squadra che gioca bene, non è cattiva, non è sicura e non si può dire che sia una squadra, come quella di Allegri, capace di esaltare i suoi campioni finché Dybala e Ronaldo non raggiungeranno il top della condizione. Per ora è sufficiente che non perda troppo terreno dal vertice, anche se il dubbio più consistente è legato proprio alla sua forza storica, la forza dei risultati. Se si toglie il 3-0 a tavolino contro il Napoli, in quattro partite di campionato ha vinto la prima con la Samp e poi si è fermata a tre pareggi consecutivi conclusi sempre con almeno un gol subìto. E’ una squadra che va aspettata, ma il problema è che la Juve non si fa mai aspettare.