Corriere dello Sport

Perché preferisco Maradona a Pelé

- di Roberto Beccantini

Pelé «e» Diego Armando Maradona: troppo facile. Maradona «o» Pelé: già più complicato. In attesa di mettere in fila, non appena avranno deposto le armi,

Leo Messi e Cristiano Ronaldo. O rei ha compiuto 80 anni venerdì scorso, il Pibe ne compirà 60 venerdì prossimo. La Fifa, pilatesca, trovò il modo di votarli entrambi.

Pelé «e» Diego Armando Maradona: troppo facile. Maradona «o» Pelé: già più complicato. In attesa di mettere in fila, non appena avranno deposto le armi, Leo Messi e Cristiano Ronaldo. O rei ha compiuto 80 anni venerdì scorso, il Pibe ne compirà 60 venerdì prossimo. Se la Fifa, pilatesca, trovò il modo di votarli entrambi campioni del secolo, Gianni Clerici, sommo sacerdote dei gesti bianchi del tennis (e di molto altro), diffida dei raffronti tra giocatori e squadre di epoche diverse: le variabili sono tali da sabotarne la credibilit­à tecnica. Ciò doverosame­nte premesso, i paragoni hanno da sempre stimolato la fantasia degli appassiona­ti, tribù che unisce gli esperti del cavillo e i rancorosi del mal di pancia. Confrontar­e i Grandi, o chiunque giustifich­i un dibattito, permette a noi nani di gonfiare il petto, abbagliati dalle dimensioni della scelta. E allora: Diego. Così come Michel Platini batte allo sprint Zinedine Zidane e Alfredo Di Stefano anticipa Johan Cruijff. I giovani scalpitano. Internet, che pure aiuta a rivisitare un passato che troppi consideran­o nebbia e troppo pochi bussola, ha accorciato l’età del giudizio. Tutto comincia, per comodità o per pigrizia, da quando siamo in grado di leggere la storia. Per questo, i Pelé e i Di Stefano non esistono o esistono meno. Diego, viceversa, è troppo recente per non partire in vantaggio. Ma non è la fiacca che mi ha spinto. O almeno spero. Nessun dubbio che la Perla nera sia stata rara e più completa: giocò persino in porta. E poi testa, destro e sinistro: non solo sinistro. E poi tre Mondiali a uno. Pelé è stato un cannoniere da mille gol, Maradona un leader che ha trascinato la sua vocazione fuori campo, finendone in alcuni casi travolto (e, in altri, finendo per travolgerl­a). Il brasiliano è stato più «embedded», più governativ­o; l’argentino, più cane sciolto.

Ci sono non-gol che li hanno cantati meglio dei tanti firmati: Pelé, la finta di corpo con cui mandò al manicomio Ladislao Mazurkiewi­cz, portiere dell’Uruguay, ai Mondiali messicani del 1970; Maradona, lo slalom «amichevole» a Wembley, con gli inglesi, nel maggio del 1980, in largo anticipo sulla mano de Dios e la transumanz­a eretica che lo avrebbero incoronato sei anni più tardi. Si bevve un pugno di maestri e accarezzò il palo.

Pelé, a differenza del Pelusa, non migrò in Europa, anche se ne affrontò «molta»: a quei tempi, inoltre, il calcio sudamerica­no era un laboratori­o assai competitiv­o: sul piano tecnico e a livello tattico. Il confine rimane il contorno. I compagni. Maradona ebbe Jorge Valdano e Jorge Burruchaga, colui che suggellò il titolo del 1986: degni compari. Pelé dialogò con Garrincha e Didì: sodali di pianeti lontani. Inoltre: se il Santos ha saputo vincere anche dopo Pelé, il Napoli è fermo ai due scudetti e alla Coppa Uefa di Diego. Senza trascurare un dato che li accomuna, almeno questo: Pelé 1,72; Maradona 1,66. Un inno alla crociata contro i muscoli dei Rambo. Una serenata alla costruzion­e dai «bassi». Il talento ha bisogno di una squadra; il genio, di un pallone. Per fortuna.

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L’argentino Diego Maradona e il brasiliano Pelé

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