Corriere dello Sport

Grosjean: «Vista la morte l’ho chiamata per nome»

IL RACCONTO TERRIBILE DEL PILOTA TRA LE FIAMME «Ero bloccato, tre tentativi falliti. Mi sono rilassato e ho detto: brucerò»

- Di Fulvio Solms

Ora che il fuoco è spento rimane una sensazione fredda. Romain Grosjean sorride ma il suo racconto gela il sangue: raramente una tale narrazione è uscita dalla bocca di un pilota. E’ stata un’esperienza di pre-morte, che il francese ha guardato dritto in faccia nei secondi immediatam­ente successivi al botto contro le barriere e mentre il fuoco cominciava a morderlo.

«In quei momenti ho sentito di doverle dare un nome e l’ho chiamata Benoit. Non chiedetemi perché».

Ma certo, non c’è da far domande, solo da ascoltare. «Non posso dire che per me siano trascorsi ventotto secondi, a me è sembrato un minuto e mezzo – ha raccontato il ragazzo nel paddock di Sakhir, in attesa di trasferirs­i ad Abu Dhabi dove vuole correre a tutti i costi per sentirsi di nuovo pilota, chiudere il conto rimasto in sospeso con la paura e sparire – Quando la macchina si è fermata ho aperto gli occhi e mi sono slacciato le cinture. Non ricordo di aver tolto il volante e in effetti la squadra mi ha confermato che era caduto dopo essersi staccato, era tutto distrutto. Ero bloccato a testa in giù. Ora mi verranno a prendere, ho pensato. Non avvertivo la presenza del fuoco, fino a che non ho visto della luce arancione attorno a me. Era il tramonto di Sakhir? Non era possibile. Luci artificial­i? Che confusione».

UN ALTRO UOMO. Il racconto prosegue, Grosjean appare molto tranquillo e probabilme­nte è un altro uomo, un altro Romain rispetto a prima. Guardi la vita in modo diverso, la sfrondi, togli via tutte quelle cose cui prima davi un peso e che ora ti appaiono nitidament­e come una quisquilia.

«Vedo il fuoco sulla mia sinistra. Cerco di uscire verso destra, ma non riesco. Riprovo verso sinistra, ma non funziona. Mi siedo di nuovo e penso a Niki Lauda, al suo incidente, e mi dico: no, non può finire così. Ci provo di nuovo, ma niente, sono bloccato».

E poi Romain, e poi? «Mi chiedo “ce la farò a uscire? soffrirò?” Mi risiedo e il mio corpo inizia a rilassarsi. Mi sento in pace con me stesso e penso che sto per morire. Mi chiedo “brucerà prima la scarpa? il mio piede? la mia mano? Sarà doloroso? Poi penso ai miei figli, mi dico che non possono perdere il loro papà. Giro il casco a sinistra, torco la spalla e in un certo senso funziona. Ma ho la scarpa sinistra incastrata, strappo via il mio piede dalla scarpa, rifaccio la stessa manovra, la spalla passa attraverso la fessura e in quel momento realizzo che posso saltare fuori. I guanti stanno cominciand­o a sciogliers­i, diventano neri, e così la visiera. Le mani mi bruciano ma sono fuori dalla macchina, salgo sulla barriera e sento Ian (il medico Roberts, ndr) che mi tira la tuta. So di non essere più solo, c’è qualcuno con me». E ciò che è più importante: non si chiama Benoit.

Seguono momenti comunque concitati in cui Grosjean ha dolore alle mani e al piede sinistro. Insiste di non voler aspettare l’ambulanza ma di voler raggiunger­e a piedi la macchina dei medici. «Era fondamenta­le far vedere dalle riprese televisive che camminassi. A chiunque mi si avvicinava ripetevo “Ho due mani bruciate e un piede rotto”».

Tutto il resto è sollievo, guarigione, gioia, vita. Proverà a correre ad Abu Dhabi, poi cambierà esistenza. Aprirà un ristorante, pare sia un cuoco straordina­rio. Vivrà tra le fiamme e ne sarà il re.

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