«Va differenziato il valore delle mete»
In principio fu Giancarlo Pivetta. Tallonatore azzurro del San Donà, di professione idraulico, segnava valanghe di mete in Serie A (141, settimo di sempre) a cavallo tra gli anni Settanta e Novanta, grazie a una giocata pressoché imparabile da rimessa laterale che porta ancora il suo nome: la “Pivetta”.
Cambiano i nomi, i meccanismi, il linguaggio, ma oggi il rugby (mondiale) si ritrova alle prese con un’altra giocata - la maul da penaltouche per gli adepti; il raggruppamento avanzante da rimessa laterale nei 22 metri avversari per i neofiti - che sta rivoluzionando le tattiche di gioco e uccidendo lo spettacolo. A beneficiarne, come con la “Pivetta”, sono soprattutto i tallonatori, cuore pulsante dell’azione dal lancio all’inserimento nella maul successiva, che ormai segnano quanto e più delle ali. L’Inghilterra in questa campagna d’autunno ha marcato due mete con l’ala Jonny May, una a capo di un fantastico assolo in contrattacco da 90 metri, e quattro con il tallonatore Jamie George, un cubo di 109 kg per 1.78, da penaltouche. Nella scorsa stagione del Treviso (Pro14), il marcatore più prolifico non è stata l’ala Monty Ioane, che oggi debutta in azzurro, bensì Hame Faiva, altro tallonatore. E potremmo continuare.
La verità è che più i superesperti di World Rugby cercano di spettacolarizzare il gioco, più lo snaturano e lo consegnano in mano ai maghi delle tattiche e del computer. Il depotenziamento della mischia, introdotto (2013) per ridurre i tempi morti, ha trasformato in terze linee anche piloni e tallonatori, che risparmiano energie e coprono di più il campo, infittendo le maglie difensive e riducendo ulteriormente gli spazi per chi attacca. «Avere il pallone in mano è come tenere una bomba che ticchetta», ha dichiarato George Ford, apertura dell’Inghilterra - Se non hai modo di fare una giocata veloce, meglio calciare». Sottinteso: altrimenti diventi un bersaglio. «Tutti i migliori team scelgono di preferenza la via del piede» ha aggiunto. L’Italia non è tra le squadre più forti, anzi, ma contro la Francia, sabato scorso, ha affidato al calcio di Paolo Garbisi gran parte dei palloni conquistati. E i francesi, con Jalibert e Dulin, hanno fatto altrettanto. Una noia mortale, da preferire “La corazzata Potëmkin” di fantozziana memoria.
PROPOSTA. Così, iIn un rugby sempre più asfittico, non sorprende che calciare una punizione in rimessa laterale in prossimità della linea altrui (penaltouche) e provare a segnare sulla maul che ne scaturisce - una sorta di rissa da saloon del vecchio West che gli arbitri non sono generalmente in grado di decifrare sia diventato il modo migliore per mettersi in tasca 5 o 7 punti. Mentre lo spettatore si addormenta sul divano. Così Stuart Barnes, autorevole commentatore del “Times” ha lanciato una proposta che non ci sorprenderebbe venisse discussa in un futuro molto prossimo: «E’ più facile distruggere che creare - ha scritto - e una meta segnata da Mako Vunipola (un pilone; ndr) da un metro non può fruttare quanto quella di May da 90. Riduciamo il valore della prima a 3 punti, l’equivalente di una punizione, e aumentiamo finanche a 10 quello di una segnata partendo da lontano».
Non è fantascienza. «Nella Varsity Cup, il campionato universitario sudafricano, si assegnano 7 punti alla meta nata da un’azione iniziata fuori dai 22 metri avversari» ricorda il c.t. azzurro Franco Smith. Si può fare, basta avere il coraggio di provarci.
Sempre meno azioni e spettacolo, specie nei test-match: così nasce una proposta