Il punto d’incontro quotidiano tra un grande giornalista e i lettori del Corriere dello Sport-Stadio post@corsport.it o italocu39@me.com
Caro Cucci, sono passati ormai i tre giorni da quando D10S è morto e quindi posso smettere di attenderne la resurrezione. La trascendenza deve essere cosa ben più complicata di quanto mi raccontassero al catechismo. Non credo di dover urlare ai quattro venti quanto lo amassi, né mettermi ad argomentare con suoi detrattori che non si sono lasciati sfuggire questa ultima occasione per poterne sottolineare i Vizi. Io ho pensato invece di doverlo ringraziare per il Miracolo della mia esistenza e il miracolo della sua esistenza attraverso di me. Sono rimasto molto colpito da chi ha detto in lacrime che, con lui, se ne andava un pezzo della loro vita.
Oddio, capisco, ma boh. È la sua vita che è finita, non la nostra. Solo che con essa è finita anche quella parte della sua vita racchiusa in noi. La sua vita è stata talmente grande, ingombrante, eccessiva che un corpo solo, per quanto eccelso, era ridicolo, insufficiente. Per questo motivo, si è frammentata nella vita di migliaia di amici e conoscenti prima e in quella di miliardi di perfetti sconosciuti, poi. E in questo dono, in questo prestito, c’è anche il senso del mio piccolo miracolo. Quando ero bambino, mio padre era disperato perché io non provavo alcun interesse per il calcio. Tutti lo amano, perché lui no? - si chiedeva ipotizzando l’esistenza di una terribile sindrome che portasse ad ignorare il football. A proposito, ho notato che moltissimi ricordi come il mio, di noi orfani planetari, iniziano con un “mio padre”. Pensavo che ciò succedesse solo a me. Io amavo lui, mio padre amava lui e lui ri-amato ci amava in una triangolazione sentimentale perfetta che ci raccoglieva e consolava.
Quando ero piccolo, dicevo, mio padre era disperato. Mio padre non aveva mai giocato a calcio, ma il calcio gli piaceva eccome. Non aveva giocato non per mancanza di passione, ma per mancanza di salute. “Da bambino ho avuto la TBC” mi bisbigliava come se si sentisse colpevole delle sue sfortune. Per questo, non voleva per me la medesima mancanza e si rammaricava della sua incapacità di poter essere un buon esempio. Era l’estate dell’82 e c’erano i Mondiali. Quasi mi costrinse a vederli e lo feci più per pigrizia che per obbedienza. Non ci capii molto, ma mi piacquero. Tifai Brasile perché Eder tirava fortissimo ed io adoravo gli uomini forti, Ercole, Maciste, Achille, Bud Spencer, tutti insieme appassionatamente. Piansi per il Brasile e poi esultai per la vittoria degli Azzurri, ma il pallone era rimasto lì, chiuso nella Tv e mio padre si rassegnò.
Ma era solo questione di tempo ed un giorno Egli bussò dalla Tv. Il 9 agosto un’emittente locale non trovò niente di meglio da fare che riproporre una partita del Mundial appena concluso. E fu allora che apparve. Un fenomeno con la maglia numero dieci di colore celeste e bianca. Fece due gol e una serie di prodigi che non avevo mai visto o dei quali forse non mi ero mai accorto. Finita la partita, 4 a 1, presi sotto braccio il Super Santos e corsi a giocare. Ok, io gioco a pallone e papà è contento, fine della storia... No, dopo ore di gioco in solitario sotto il sole giaguaro di agosto, accaldato come un suino, decisi di andare a bere e visto che ero il solito bambino pigro di qualche rigo fa, mi rifiutai di salire i due piani e mezzo che mi separavano da casa e bussai alla porta della signora del pianterreno che nei miei ricordi ora somiglia alla strega di Biancaneve. La strega tirò fuori dal frigo una bottiglia di acqua gelata che trangugiai nei pochissimi istanti che bastano per trasformare qualsiasi cosa in tragedia. Per fortuna, il mattino successivo, mi svegliai in ospedale, dopo una lavanda gastrica e qualche ora di coma, per la gioia della mia famiglia che stava già cercando di capire come piangermi. Ok, questo ti ha quasi ucciso, dove sta il miracolo? Sta nel quasi, sta nel fatto che la mia vita non finì, cambiò di botto. Prima di tutto, da quel giorno presi a festeggiare due compleanni. Il giorno della nascita ed il giorno del risveglio. E cosa c’è di più bello per un bambino dell’avere due compleanni? Io vorrei solo ringraziare per questo pezzo di vita insieme, anche ora che mi ha lasciato un po’ più solo, ora che mi ha lasciato così incompleto, riprendendosi ciò che era suo. Lo ringrazio per tutti i doppi compleanni e per quello strepitoso amore per il pallone di cui è stato responsabile. Credo che il Calcio per gli stessi motivi debba continuare a ringraziarlo. Perché ha due compleanni. Quello del calcio prima di lui e quello del calcio dopo di lui. E poi perché se noi amiamo il Calcio e Lui ama il Calcio, il calcio ri-amato ama tutti noi in una perfetta triangolazione sentimentale che ci raccoglie e ci consola.
Caro Luigi, ti rispondo con le parole di Pino Daniele: “Lui è un mago con il pallone/ Io l’ho visto alzarsi da terra/ e tirare in porta/ Soffia il vento d’Argentina/ davanti agli occhi spalancati/ e pieni di grande speranza/ e al momento giusto/ suona il tango per magia/ lui è l’uomo giusto / che ci può far vincere”.