L’Università della Premier e le varianti
Ci sono stati in Inghilterra i giorni gloriosi del kick and rush. Butta la palla davanti che qualcuno di testa la prende. Lo chiamavano long ball system. Un ex comandante della Royal Air Force, Charles Reep, aveva teorizzato che il calcio di successo era quello che mandava al tiro le squadre con tre passaggi. Seguirono anni e anni di isolamento, di calcio ideologico almeno quanto il nostro Catenaccio ma anche tutto sommato di cliché fioriti, di format imposti e di eccezioni ignorate. Settant’anni dopo, quel calcio rudimentale ha oggi in casa il laboratorio tattico più interessante al mondo, ampio, dalle molte facce diseguali. È maturato in una Premier che oggi ha in panchina 20 allenatori provenienti da 10 Paesi differenti. Idee che circolano, si mescolano, si impastano. Undici dei 20 hanno vinto qualcosa. In tutto sommano 107 titoli, di cui 24 internazionali: si va dai 29 di Guardiola ai 25 di Mourinho, ai 19 di Ancelotti, per passare dai 9 di Klopp, gli 8 di Hodgson, i 7 di Rodgers, i 4 di Solskjaer e Bielsa, i 2 assai freschi di Arteta, uno a testa per Potter e Moyes. È una Università delle panchine. L’eccellenza. Non è stata costruita per caso. Più o meno una dozzina d’anni fa, quando gli inglesi persero Cristiano Ronaldo passato dal Manchester United al Real Madrid, si accorsero di avere il campionato più atteso all’estero ma senza più stelle planetarie. Erano tornati in una condizione che conoscevano bene. Dal George Best del 1971 al Kenny Dalglish del 1983, non avevano più avuto un giocatore sul podio del Pallone d’oro, e la stessa cosa si era ripetuta nel decennio successivo, da Dalglish fino al Cantona terzo nel 1993. Dopo la parentesi di Owen e perso Ronaldo, la Premier senza Palloni d’oro ha iniziato allora a vendersi come il campionato delle idee. Dove ci sono le teste migliori. Ogni nuovo pensiero, ogni nuova idea tattica, l’ha comprata e importata. Presto arriveranno i nipotini di Klopp, la scuola tedesca che ha dominato la stagione scorsa.
Al confronto con tanta ricchezza di pensiero, con tanta apertura e tanta disponibilità a mettersi in discussione, l’antico primato della serie A sfiorisce. Specialmente da quando hanno iniziato a giocare tutti allo stesso modo. Gli stranieri da noi sono appena tre. Tre su 20 sono pure gli allenatori che hanno vinto un campionato (Conte, Fonseca e Ranieri), solo uno ha un titolo internazionale (sempre Ranieri con la Supercoppa a Valencia). I titoli complessivi che vantano sono 25, significa ottantadue in meno che in Inghilterra.
Dentro questa cornice lussuosa, il calcio inglese sta vivendo un passaggio di profonda riflessione sulla natura del gioco in pandemia, sulla strada che vanno prendendo le teorie, sui possibili sviluppi degli stili di gioco. Nessuna delle squadre in testa ai cinque campionati europei più ricchi, per esempio, ha il primato del possesso palla. Così come, nei tornei in cui il dato è disponibile, la capolista non coincide con la squadra che copre più chilometri in 90 minuti. Un bel rompicapo. Sembrerebbe che non si vince né correndo né facendo correre la palla. Cosa rimane? Rimane quella situazione che negli studi di Sky, Giancarlo Marocchi ha definito “il cappello per aria”. Se non vogliamo proprio chiamarlo long ball system, bisogna accettare che si stia facendo strada un ritorno all’essenzialità, a uno stile di gioco meno raffinato. Jonathan Wilson, lo studioso di calcio che confutò anni fa le teorie di Reep, ha scritto sul Guardian che stanno riemergendo idee che erano considerate quasi estinte. Ha mostrato il dato secondo cui in Premier il pressing è crollato del 22,7% rispetto all’ultima stagione prima del Covid. Il solo Leeds di Bielsa ha numeri simili ai soliti. È elettrico come sempre, diverte come sempre, si espone di più. Le squadre sono meno allenate ma giocano ugualmente tanto. Scelgono allora uno stile più cauto. In Inghilterra poi non hanno neppure le cinque sostituzioni, sono tornati a tre. Così Guardiola viaggia al ritmo più basso di gol dei suoi anni al City. Il Guardian parla di un periodo curioso di limbo, di incertezza, di un percorso di sviluppo che è stato interrotto. Eppure funziona. L’allenatore giudicato come il più primitivo, Sam Allardyce, ha pareggiato a Liverpool con il 21% di possesso palla. E stasera sfida Bielsa: i due estremi del pensiero sul calcio in pandemia. Il laboratorio inglese promette sviluppi.