Il Napoli avanza ma che fatica
I toscani privi di tre giocatori bloccati dall’Asl nell’albergo-bolla
Gli occhi parlano e raccontano la paura: e quando in un’altra notte pallida il Napoli se ne va a risistemare i suoi pensieri, ciò che resta della sua (ennesima) partita sbagliata è quel senso di inadeguatezza ch’emerge ancora e di nuovo. C’è un orizzonte opaco, nel quale non s’intravede un pizzico di luce: i quarti di finale di Coppa Italia rappresentano il “minimo sindacale” per una squadra prigioniera dei suoi limiti strutturali, di una idea (?) assai scomposta di calcio che l’Empoli - un’Under 23 ricca di energia e di soluzioni - mette a nudo, lasciando che in quello stadio s’avverta soprattutto il disorientamento collettivo d’un Napoli che ancora non ha ben chiaro cosa debba essere la propria esistenza. Ci sarebbe, in teoria, una differenza abissale tra chi ha investito nell’ultimo anno centocinquanta milioni di euro e chi preferisce, per tutelar se stesso, rivolgersi alle riserve (ma con rispetto parlando) d’una squadra che in B è protagonista: però quando Giua fischia e il 3-2 manda il Napoli a guardarsi dentro, chi brilla di suo è l’Empoli, con la sua natura scanzonata, una bella dose di “irriverenza” e una naturalezza nell’inseguire un sogno che svanisce per dettagli e perché dall’altra parte c’è chi è indiscutibilmente più forte, ma nei singoli.
ANCORA...! Il Napoli è sempre eguale nei suoi errori, resta ancora in inferiorità nel centrocampo a due (stavolta Demme, sveglio, e Lobotka, pigro), deve aggrapparsi alle genialate del talento che abbonda, può essere fiera di Lozano (un assist per Di Lorenzo e un gol con rapidità di pensiero e di calcio) e di poche altre cose, perché sino a quando non arriva il tramonto della gara imperfetta, le sue sofferenze sono atroci e rischiano di spalancare voragini negli equilibri stagionali. Il 3-2 è la sintesi di una partita sempre aperta, nella quale l’Empoli ha messo autorevolezza ed esuberanza ma pure tanta organizzazione, poi ci ha aggiunto l’istinto e la genialità di Nedjm Bajrami, ventidue anni a febbraio, che con il suo destro se ne è andato sempre a cercare gli angoli opposti per vivere la sua personalissima favola. Le sue perle spingono il Napoli a tormentarsi, chissà se ad interrogarsi.
DIFETTI. Il Napoli è nei suoi difetti “istituzionali” che Gattuso lascia lì, sperando che un miracolo li rimuova, continua ad essere sbilanciato, ha pochi uomini dietro la linea del pallone, spalanca voragini ora in mezzo e poi sulle due corsie, non sfrutta l’imponenza del proprio organico e, per non doversi perdere nei supplementari, la risolve con un tap in fisico, nel caos dell’area di rigore, di Petagna: però prima, a lungo, pur creando (con Lozano, sempre lui) lascia a Matos la possibilità di spolverare la traversa; e poi dopo (con palo di Fabian), concede a Moreo e a Ricci di spargere ansia in se stesso. E’ un calcio che rimane dentro ritmi e codici assai banali, un palleggio sempre uguale e coperture preventive che saltano e che lasciano la difesa a specchiarsi nelle statistiche che fanno male: undici gol subiti nelle ultime otto partite, tra cam
pionato e Coppa Italia.
CHE BRAVO L’EMPOLI. Il resto lo fa l’Empoli, che a dispetto della sua età media da “universitario” dimostra d’avere una traccia da seguire, correndo in avanti, in ampiezza e andando a solleticare il Napoli nelle sue debolezze; l’intervento della Asl (che prima della gara lascia in isolamento in albergo tre calciatori Mancuso, Pirrello e Zurkowski e l’allenatore Dionisi, reduci da un volo con una persona positiva al Covid) non sottrae ispirazione. Quella che il Napoli ancora va cercando, nei suoi infiniti misteri che riempiono di nebbia il futuro.